BHAGAVAD GITA, CAP. II



II                                                         1-3

1. Sanjaya disse: A lui che era sopraffatto dal sentimento di pietà, che era affranto, con gli occhi pieni di lacrime e agitato, Madhusūdana rivolse queste parole:
2. Da dove è giunto questo sconforto, questa debolezza che è indegna di te, che è disonorevole e non conduce al cielo, o Arjuna?
3. Non cedere a questo tuo vile sentimento, o Pārtha[1], che a te non si addice. Scaccia la meschina debolezza d'animo e alzati, o distruttore dei nemici!

Krshna fa un'analisi perfetta; ciò che affligge Arjuna non è compassione o senso di giustizia ma debolezza d'animo, indegna di un grande guerriero. E' disonorevole e, cosa ancora più importante, essendo contro il dharma (la volontà di Dio) chiuderebbe ad Arjuna le porte del cielo!
Lo yoga o la religione sono diretti all'annichilimento dell'ego, che imprigiona l'anima, ma occorre una vigilanza continua per assicurarsi che la sādhanā[2] o la vita virtuosa stessa non diventino una prigione che rafforza l'ego! La virtù, creata e mantenuta con un motivo sbagliato o un atteggiamento egoistico, è la prigione. Questo non significa che possiamo permetterci di sancire il vizio: un aspirante che si espone al male non potrà mai raggiungere lo scopo.
Abbiamo bisogno della virtù come fortezza, ma la differenza è che la chiave della fortezza è nelle tue mani, mentre la chiave della prigione è nelle mani di altri. L'eroe spirituale osa per essere virtuoso, il codardo ha paura di sbagliare, anche se gli piacerebbe! L'eroe può oltrepassare le mura della fortezza, ma non lo fa, perché i bagliori del mondo non lo illudono; la persona debole immagina d'essere libero nell'oscurità della sua prigione.


II                                                          4-6

4. Arjuna disse: Come posso, o Madhusūdhana[3], assalire in battaglia con le mie frecce Bhishma e Drona che son degni di riverenza?
5. E' meglio vivere d'elemosina in questo mondo che uccidere dei così nobili maestri; anche se sono avidi, se li uccidessi, tutti i miei possedimenti e i miei piaceri sarebbero intrisi di sangue.
6. Non so più decidere cos'è meglio: che noi li conquistiamo o che essi conquistino noi. I figli di Dritarastra, uccisi i quali non desideriamo più vivere, sono schierati davanti a noi.

Fino a questo punto della Bhagavad Gita, Arjuna è il guru, il saggio capace di discernere tra il bene e il male; ora, avendo asserito con veemenza la conoscenza del dharma, si trova in uno stato di confusione, forse indotto dal gentile richiamo impartito da Krshna.
Questi sono stadi inevitabili, attraverso cui tutti ci troviamo a passare. Lo stolto crede di essere la persona più saggia del mondo e ha una soluzione per tutti i problemi dell'umanità, è sicuro che Dio esiste o che non esiste. Paradossalmente, è convinto dei suoi doveri e di quelli di tutti gli altri, in lui non c'è confusione, nel suo caso "l'ignoranza è beatitudine". Non è ancora sufficientemente evoluto da entrare nello stato di confusione che si trova in mezzo, tra l'ignoranza e l'illuminazione. La persona non ancora illuminata viene spesso a trovarsi davanti ad un dilemma; spesso viene preso in giro dallo stolto: "Te l'ho detto, lascia perdere tutta quella filosofia e stattene tranquillo come me". E' bene sapere che la confusione è uno stadio superiore all'ignoranza e dura finché non troviamo un guru o maestro che apre davanti a noi le porte della saggezza. Guru vuol dire "luce che illumina le tenebre" e può essere personale o impersonale.


II                                                         7

7. Il mio cuore è sopraffatto dal peso della compassione. La mia mente è confusa riguardo al mio dovere. Io ti chiedo, dimmi con certezza ciò che è meglio per me. Sono tuo discepolo; istruisci me che ho preso rifugio in te.
Questo è uno dei versi più grandiosi della scrittura: è la scintilla che fa esplodere il deposito della saggezza.
Molta della perversione, cui la nostra filosofia è andata soggetta di recente, è direttamente attribuibile al tragico fatto di aver dimenticato una saggia ingiunzione: "Non proferire consiglio, a meno che non ti venga chiesto".
Se la conoscenza spirituale è trattata come una comodità, il rivenditore si mette in ginocchio ad implorare il possibile acquirente! Quest'ultimo sente che lui (e perciò la sua ignoranza) è superiore alla 'merce' del primo. Può anche accettare di comprare, ma la rimodella secondo i suoi gusti, ci mette la propria etichetta e la rivende. Il risultato si può vedere in qualunque libreria.
Il guru aspetta, non solo che il discepolo chieda, ma che sia nel giusto atteggiamento di ricettività. Se il discepolo non ha fatto alcuno sforzo per risolvere il suo problema, o se ha la sua propria soluzione, non è ricettivo. Se invece è giunto all'estremo delle sue risorse non dubiterà del guru!




II                                                      8

8. Io non vedo come potrebbe essere rimosso questo dolore che paralizza i miei sensi, neanche se dovessi ottenere il prosperoso e incontestato dominio sulla terra o l'assoluta sovranità sugli esseri celesti (in paradiso).

Certo che no! Nessuna cosa in questo mondo, o in paradiso (ambedue ripugnanti per Arjuna in questo momento) o nell'inferno (che egli decisamente vuole evitare) contiene la segreta sostanza 'alchemica' che può porre fine all'infelicità, perciò un uomo saggio dovrebbe rinunciare ai 'tre mondi'. La logica ha termine qui e se non termina ci porta a perdere la via. Il passo successivo potrebbe essere 'poiché ho rinunciato ai tre mondi, non dovrei avere più nulla a che fare con essi' o 'poiché ho rinunciato ai tre mondi, perché dovrei aver paura di lottare o agire in questo mondo?'
Dobbiamo conoscere le applicazioni corrette e quelle incorrette della logica. E' vero che il corpo è irreale, ma, finché dura dev'essere nutrito; anche il condannato a morte deve ricevere il suo ultimo pasto. La negligenza di questo è adharma.
Arjuna è addolorato al prospetto di dover uccidere i suoi amici e parenti, pur sapendo che essi sono i peggiori peccatori (atatayin). 'Non resistere al male' è un detto da applicare qui con cautela. La società non può funzionare basandosi su ideali utopistici, ma questo non dovrebbe permettere ad ognuno di combattere il male e quindi generare il male in loro stessi. Perciò, il sistema delle caste affidava questo compito agli ksatriya (il re o l'amministratore). Gli altri non devono resistere al male, ma affidarlo allo ksatriya che ha questo dovere. Per lui tirarsi indietro è adharma! Ma se esegue quel compito come suo dovere, in maniera imparziale e impersonale, non è turbato interiormente e non incorre nel peccato. La legge e l'ordine vengono mantenuti senza creare disordine nella mente di alcuno! Il proprio dovere dev'essere fatto non per godere in paradiso o sulla terra, né per paura dell'inferno, ma perché è volontà di Dio. Il Signore assicura che egli s'incarna per sottomettere il male. (cfr. IV,8).




II                                                          9, 10

9. Samjaya disse: Avendo parlato così al Signore, Arjuna, il distruttore dei nemici, disse a Kŗşņa, "Non combatterò", e stette in silenzio.
10. A lui che era così abbattuto nel mezzo dei due eserciti, Krshna, come sorridendo, O Dhrtarastra, rivolse queste parole:

E' strano cosa possono fare all'uomo l'ignoranza e l'illusione. Arjuna era 'il distruttore dei nemici'. Poteva combattere con lo stesso Signore Siva! Non aveva paura di nessuno - uomini, angeli o demoni. Eppure, eccolo qui abbattuto, che piange indeciso nel mezzo dei due eserciti, proprio nella situazione in cui un guerriero desidera essere ed è nato per essere, proprio nella situazione che è per lui ideale per dimostrare il suo valore e la sua magnanimità; proprio sul posto del suo sacro dovere.
Spesso ci lamentiamo di una mancanza di opportunità; diamo la colpa al fato e malediciamo i nostri vicini. Siamo scontenti con tutti gli altri, uomini e divinità, ma non ci rendiamo conto che, non loro ma la nostra ignoranza spirituale e l'illusione, sono i nostri veri nemici.
Finché quest'illusione non è rimossa e l'ignoranza superata, ci rifiutiamo di utilizzare l'opportunità, anche se Dio stesso ce la offre. Gli diremo ottusamente, come Arjuna: "Non combatterò i nemici interiori". Nelle tenebre dell'ignoranza auto-imposta i nemici sembrano essere amici, gli occhi chiusi si rifiutano di vedere la luce interiore e noi continuiamo ad essere schiavi del tiranno chiamato egoismo, gemendo e piangendo, contrari ad abbandonare le cause della nostra infelicità e incapaci di sopportarne il tormento.
Se abbiamo il giusto atteggiamento di resa a Dio, e se ci accostiamo a lui pregando, Lui, senza il minimo ritardo e in maniera piacevole, c'impartirà la più alta saggezza, disperdendo l'ignoranza e l'illusione una volta per tutte. Egli è la luce dentro ognuno di noi.



            II                                                           11

sribhagavan uvaca
asocyan anvasocas tvam prajnavadams ca bhasase
gatasun agatasums ca na 'nusocanti panditah

11.Il Signore beato disse:
Ti sei addolorato per coloro per i quali non ci si deve addolorare, eppure dici parole di saggezza. I saggi non si addolorano né per i vivi né per i morti.

Questa è la nota chiave della Gita: non angosciarti. Questo verso può essere usato come un mantra o un talismano. Quando la preoccupazione bussa alla porta, quando la tristezza minaccia di sopraffarci, dovremmo visualizzare Sri Krshna in piedi davanti a noi che ci dice: "Ti stai rattristando o preoccupando senza necessità".
Quando siamo consunti dal rimorso del defunto passato o dall'angoscia riguardo al non ancora nato futuro, visualizziamo lui che ci dice: "Ti stai addolorando senza necessità". Quando un uomo muore, il suo corpo viene cremato. Altrimenti si decomporrebbe e puzzerebbe. Quando un evento è passato, non serbarlo accarezzandolo nella mente. Cremalo e dimenticalo: altrimenti si decompone nella mente e puzza. Non preoccuparti del futuro, il domani porterà il suo proprio problema e il problema avrà la sua propria soluzione, così come l'hanno avuta i problemi di ieri e di oggi.
Molti parlano solo, come se fossero saggi! Quanta differenza tra le loro azioni e le loro parole! Armonizzare pensiero, parola e azione è il primo principio dello yoga.
I veri saggi non si addolorano per  'i morti, né per coloro il cui soffio vitale non è ancora cessato', sapendo che tutte le cose create sono soggette a cambiamento e dissoluzione.
C'è una distinzione tra pensare e preoccuparsi. Pensare è essenziale: preoccuparsi non è necessario, anzi previene il pensiero. Il pensiero costruttivo è il primo passo verso la contemplazione e l'eventuale cessazione del pensare dividente e diventa possibile solo quando la consapevolezza interiore è liberata dal passato (che esiste solo come memoria) e dal futuro (che esiste come preoccupazione, un miscuglio di paura e speranza). Solo il presente è ed è un presente (dono) di Dio!
II                                               12,13
na tv evā 'ham jātu nā 'sam na tvam ne 'me janādhipāh
na cai 'va bhavişyāmah sarve vayam atah param
dehino 'smin yathā dehe kaumāram yauvanam jarā
tatha dehāntaraprāptir dhīras tatra na muhyati
12. In realtà, non c'è mai stato tempo in cui io non ero, né tu, né questi governanti d'uomini, né, in realtà, cesseremo mai di essere in avvenire.
13. Così come in questo corpo l'essere incarnato passa alla fanciullezza, alla giovinezza e alla vecchiaia, così anche, egli passa in un altro corpo, perciò l'eroe non si addolora.
L'infelicità è solo per uno che confonde il sé con il corpo mutevole. Il sé, che è l'entità "io sono" dentro ognuno di noi, è immortale ed eterno. L'anima individuale è come la cellula immortale nel corpo eterno del Signore infinito. E' immortale, solo il corpo muore.
I cambiamenti che chiamiamo fanciullezza, giovinezza e vecchiaia non affliggono l'"io". Similmente il cambiamento chiamato 'morte' non lo tocca. "Io" veramente non muore; "io" crea un altro corpo.
La realizzazione di questa natura immortale dell'anima ci libererà dal dolore e dalla delusione riguardo alla nascita e alla morte. Dobbiamo sempre realizzare la nostra natura, è inevitabile perciò che dobbiamo cercare di realizzare Dio, il nostro fondamento; se qualcuno mi mantiene la testa nell'acqua di un lago, io lotto per venire su, perchè sono la vita e mi sforzo per liberarmi dalla morte. Anche quella che sarà poi la morte naturale è solo la liberazione da un corpo che muore. Allo stesso modo, per tutta la nostra vita, ci stiamo sforzando di venir fuori da questa prigione del limitato, finito e di realizzare che: "Io sono quel sé infinito". Da questo deriva lo sforzo incessante per liberarsi dalla schiavitù e dalle malattie fisiche e mentali, e la ricerca di una pace e di una felicità senza fine; pur non rendendoci conto che è assurdo cercare queste cose nei sempre mutevoli fenomeni: ecco che questo sforzo, ci fa solo stare peggio!
I capelli diventano grigi, allora sii felice di avere dei capelli. I capelli cadono, allora sii felice di avere una testa. Quando la morte ti bussa alla porta, sii felice, perchè la tua anima è immortale; non c'è morte per l'anima. La fanciullezza, la giovinezza e la vecchiaia sono virgole, mentre il fenomeno della 'morte' è un punto e virgola nel canto perenne dell'anima.


II                                                         14,15

14. I contatti dei sensi con gli oggetti, O Arjuna, che causano caldo e freddo, piacere e dolore, hanno un inizio e una fine; sono transitori.  Sostienili con equanimità e coraggio.
15. Certamente, quell'eroe che non viene afflitto da questi, o Arjuna, per il quale il piacere e il dolore sono lo stesso, è adatto ad ottenere l'immortalità.

Il sé che cessa di identificarsi con il corpo e attraverso di esso con il mondo esterno, è in pace dentro di sé. Chi immagina che il sé sia il corpo ed i sensi, è soggetto alle varie esperienze di caldo e freddo, dolore e piacere, e così via; non gode della tranquillità perché queste esperienze sono transitorie, passeggere e momentanee. Due stadi distinti sono descritti in questi due versi. Il primo è titiksa o tolleranza. Il secondo è sama o equanimità (stato equilibrato della mente). Il primo comporta un impegno psicologico. Il secondo avviene senza sforzo ed è naturale.
Se stai camminando in una foresta in una fredda mattina e una scimmia ti salta addosso e ti strappa la camicia , poi il vento freddo ti soffia sulla schiena scoperta, tolleri il freddo che pur senti intensamente: questo è titiksa. Nello stesso tempo, il vento freddo ti colpisce anche sulla faccia, ma non ne sei neanche consapevole. Questa è sama o equanimità, nella quale la condizione esterna non riesce a scalfirti minimamente. L'aspirante spirituale si sforza di praticare la tolleranza; è un eroe chi ha raggiunto il secondo stadio e per il quale il piacere e il dolore sono lo stesso.
"Più sei capace d'identificarti con lo spirito, immortale e onnipervadente, meno sei afflitto dalle coppie di opposti." - Swami Sivananda.


II                                                                 16
16.  L'irreale non ha esistenzaNon c'è non-esistenza del reale.
La verità su questi due è stata vista dai conoscitori della verità.
La realtà o Dio soltanto esiste: quello che esiste sempre è Dio. Quello che è, è eterno e infinito. Nessuno può portare in esistenza ciò che non è! E' semplice e non è necessario che sia Dio a dircelo! Ma Dio ce lo dice, perché solo lui conosce  la totalità; noi non possiamo conoscere la totalità, il nostro è sempre un punto di vista. Quello che intuitivamente conosce questo, conosce la totalità.
Allora, cos'è questo mondo? E' come l'apparenza di "un serpente nella corda", di una seconda luna, quando uno soffre di diplopia[4], dell'illusione di un miraggio, di fantasmi nei pali di un cortile buio, e della seconda pillola nella mano (quando quella che c'è veramente, viene toccata tra l'indice e il  medio, incrociati a forbice). Quando è morto il serpente? Quando è tramontata la seconda luna? Quando è evaporata l'acqua del miraggio? Dove sono andati i fantasmi? Chi ha preso la seconda pillola? Non sono mai esistiti, non erano che fenomeni illusori, non-esistenti ma sperimentati!
La vita stessa è un lungo sogno. Siamo incapaci di renderci conto della natura illusoria degli oggetti esterni, perché il sogno è ancora in corso. Resistiamo a qualsiasi influenza che ci porti al risveglio, come chi sta facendo un sogno piacevole, e ci tiriamo la coperta dell'ignoranza sul volto.
Quando i saggi dicono, "Il mondo è irreale", non significa che noi vediamo il mondo, dove nulla esiste, ma che c'è una percezione errata: qualcosa esiste (il sé, lo spirito o Dio) e lo vediamo come qualcos'altro (il mondo). Per un bambino seduto sotto l'albero, la sua ombra sembra un fantasma nato a mezzogiorno, che cresce fino al tramonto e poi muore!
Il jivanmukta[5] (l'essere liberato) è consapevole di entrambi: cioè della realtà e del fatto che per il non-illuminato l'apparenza è sperimentata come reale. Perciò, egli non resta mai deluso, proprio come noi vediamo l'ombra venire in esistenza, crescere e poi svanire, ma non restiamo ingannati da quest'apparenza. L'illuminato è consapevole dell'apparenza (il mondo) e del suo sostrato (lo spirito o il sé).

II                                                                 17

17. Conosci quello, dal quale tutto questo è pervaso, come indistruttibile. Nessuno può causare la distruzione di quello, l'immutabile.

Ogni essere è pervaso da Dio, dentro e fuori. Un blocco di ghiaccio sommerso nell'acqua non ha l'acqua solo da tutti i lati, ma è esso stesso acqua, benché in forma solida.
Quel Dio onnipervadente è indistruttibile, e la fede viva nella realtà onnipervadente ci dà un senso meraviglioso di sicurezza. Ma l'identificazione di sé con la fugace apparenza fa sorgere insicurezza e dolore. Il servo può essere più forte e più sano del suo padrone, ma c'è sempre un latente senso d'insicurezza in lui, perchè non sa quando verrà licenziato. Fare affidamento sulla materia 'solida' genera insicurezza; mentre il confidare nel Dio sottile ed invisibile ci tutela, perché la materia cambia, mentre lo spirito è immutevole.
La vita acquista significato e tutte le attività acquisiscono uno scopo, solo se sono basate sulla fede nella realtà permanente.
Tutte le scritture proclamano la verità che Dio pervade tutto dentro e fuori; in breve, Dio solo esiste, null'altro.
"Qualunque cosa esiste in quest'universo è pervaso da Dio". Isavasya Upanisad.
"Il Signore Narayana dimora, pervadendo ogni cosa dentro e fuori; tutto ciò che è udito e tutto ciò che è visto nell'intero universo". Narayana Suktam.
"Tutto questo è in verità Brahman o l'assoluto; non c'è diversità qui". Upanisad.
La realizzazione di quest'unità ci libererà dal dolore. "Brucia questa giungla dell'ignoranza con il fuoco della convinzione: «Io sono l'universale, infinita e pura coscienza». Sii libero dal dolore, sii beato." Astavakra Ghita.



II                                                               18

18. Questi corpi del sé incarnato, il quale è eterno, indistruttibile e incommensurabile, sono detti avere una fine. Perciò combatti, O Arjuna.

Dov'era il bisogno di tutto questo discorso sulla natura del sé per persuadere Arjuna a combattere? Non era sufficiente ricordargli che era suo dovere come principe?
No. Avrebbe solo significato posticipare il problema. Arjuna non era né debole né effeminato. Era gudakesa e paramtapa - uno che aveva con successo vinto il sonno e la letargia (nemici interiori) e anche tutti i suoi nemici esteriori tra i quali anche degli esseri celesti. Aveva il pieno comando anche sulle funzioni involontarie del proprio corpo e poteva dormire o rimanere sveglio a suo piacimento. Era anche un uomo saggio e istruito, eppure anche lui era stato sopraffatto dall'angoscia.
L'angoscia nasce dall'ignoranza della natura del sé e da maya o illusione, e nasce anche dalla falsa identificazione (confusione) del sé con il non sé (che include il mondo, il corpo, la mente e i sensi). La tua mente indulge in un peculiare doppio trucco. Cerca la realtà perchè pensa che tu sia differente dalla verità. Dopo che ti sei mentalmente tagliato fuori della realtà, ecco che pensi: "Io sono il corpo". Questo è ciò che viene chiamato maya, illusione nata dall'ignoranza. Il crollo di Arjuna sul campo di battaglia era la migliore opportunità per Krshna per sradicare quest'albero dell'ignoranza.
Questo può essere anche applicato alla nostra vita; soffriamo e continuiamo a farlo, solo perché non conosciamo la radice del problema, ma rimaniamo soddisfatti con soluzioni sostitutive. All'uomo saggio basta soffrire una sola volta; la sua saggezza cercherà la radice della sofferenza e la distruggerà lì, così da non soffrire mai più una seconda volta.
I "corpi" hanno una "fine"? La materia ha una fine, un annichilimento? "Sono detti avere una fine"! La credenza popolare può spesso essere illogica o non scientifica - e può essere non-necessario, futile e impossibile sradicare tali credenze. A meno che l'abbandono di quella credenza non sia vitale per la conoscenza del sé, qualunque controversia a riguardo può, nel migliore dei casi, essere uno spreco di energia e una distrazione psicologica.


II                                                     19,20

19. Né chi pensa che sia il sé ad uccidere, né chi pensa che il sé venga  ucciso, conosce. Il sé non uccide, né il sé è ucciso.
20. Il sé non nasce e neanche mai muore. Dopo essere stato, il sé ancora non cessa di essere. Non nato, eterno, immutevole e antico, il sé non viene ucciso quando il corpo è ucciso.

Krshna qui ci porta sul pinnacolo della saggezza dal quale abbiamo una visione gloriosa e indescrivibile dell'assoluto, l'essere che non è mai stato soggetto a cambiamento.
Il sé è non nato. Non c'è nascita ne morte per il sé. La coscienza cosmica guardata, per così dire, da un punto di vista individuale, è ātma (il sé) - come il cielo visto attraverso la finestra, che ci appare distinto dal cielo intero, che è Brahman. E' la limitatezza della nostra visione che genera preoccupazioni in noi! Una prospettiva più ampia e profonda ci darà una visione magnifica di ciò che è ed una realizzazione della sua natura immutevole.
La coscienza cosmica soltanto è, così come il cielo soltanto è, non limitato dalle nuvole o dai muri che c'impediscono di percepirlo. E' āvidya o l'ignoranza che c'impedisce di realizzare la coscienza cosmica. L'ignoranza non è un fattore positivo, è un nulla. Come può il nulla portare alcun cambiamento nella realtà? Come può a sua volta l'ignoranza limitare la realtà? Se siamo tutti in una sala e all'improvviso le luci si spengono, è vero che non potremo vederci l'un l'altro ma, per il fatto che le tenebre scendono su di noi, non siamo né schiacciati né in alcun modo danneggiati da esse, e siamo esattamente come eravamo. Dio solo esiste, totalmente inalterato dai cambiamenti apparenti (perché causati dall'ignoranza) in questo mondo, nel nostro corpo e nella nostra mente.



II                                                     21

21. Colui che sa che il sé è indistruttibile, eterno, non-generato e inesauribile, come può quell'uomo uccidere, o Arjuna, o causare di essere ucciso?

Ogni giorno siamo consapevoli di tre stati di coscienza. Nel sonno profondo non c'è diversità; nello stato di sogno la mente crea un'illusione di diversità in se stessa! Nello stato di veglia, c'è un'apparente diversità: apparente perché è basato sulla primordiale ignoranza e non reggerà ad un'investigazione. Questi tre stati sono l'esperienza di un unico ego, ma le leggi che li governano sono differenti. Non si può condannare un uomo per averne ucciso un altro in sogno, ma neanche si può ignorare un muro perché nel sogno non lo si vedeva!
Le stesse ragioni si applicano anche ai diversi stati del risveglio spirituale. E' vero che in senso assoluto solo Dio esiste e che è eterno e immortale ma, nello stato in cui Arjuna si trovava, non poteva fare a Krshna la domanda molto pertinente: "Se tutti questi eroi sono, in essenza, indistruttibili, perché mi chiedi di ucciderli?" Non avendo trasceso lo stato materiale dell'esperienza del mondo fisico, doveva prendere il suo ruolo nel gioco in accordo alle leggi che governavano quello stato. Qui abbiamo uno strano paradosso: la battaglia della vita dev'essere combattuta nel mondo su cui dobbiamo continuamente investigare per realizzare che è effetto della nostra stessa ignoranza. Se omettiamo di combattere la battaglia della vita in questo spirito sanziona l'ignoranza e sigilla la porta attraverso la quale dovremmo sollevarci agli stati superiori di coscienza.
Questa è l'arte estremamente delicata di vivere: prendere il nostro ruolo in questo mondo come se fosse una realtà e nello stesso tempo non dimenticare mai la realtà ultima che appare, per errore di percezione, come il mondo.


II                                                   22
22. Come un uomo lascia gli abiti usati e ne indossa di nuovi, così l'essere incarnato abbandona i corpi logori ed entra in altri che sono nuovi.
La 'reincarnazione' è un fatto solo in relazione al corpo fisico. Il sé è non-nato e immortale! La vita è continua, solo il vestito è rimpiazzato da vestiti nuovi di tanto in tanto.
Tutte le religioni sono d'accordo sul fatto che l'anima è immortale e sopravvive quando il corpo muore. Sembra esserci una differenza di opinione solo riguardo al fatto di prendere un nuovo corpo post mortem. Viene anche ammesso che l'anima lasciando il corpo sia sottoposta a varie esperienze necessarie per un'eventuale ascensione nel regno di Dio o per diventare uno con lui, espresso nella maniera che preferisci.
Lo spirito o l'anima non può agire senza il corpo o piuttosto, lo strumento attraverso il quale l'anima funziona e raccoglie esperienze è chiamato corpo, e prendere o assumere uno di questi corpi è chiamata 'incarnazione'. L'anima non gode dei piaceri di un paradiso o soffre le pene di un inferno, se non attraverso la mediazione di un corpo composto dei cinque elementi, organizzato per essere adatto alle condizioni peculiari della sua esistenza in quello stadio, perciò sottile o materiale.
C'è una grande differenza tra la struttura fisiologica di un pesce o di un uccello e quella di un essere umano, ma basilarmente sono tutti composti dei cinque elementi. Il corpo-pesce si è adattato alla vita nel mare, il corpo-uccello al volo, ed il corpo umano ad un tipo diverso di vita. Similmente, le anime che s'incarnano su altri pianeti possono assumere o ottenere corpi fisici adatti alle condizioni del luogo.
L'anima in realtà non nasce (di fatto non è mai nata), ma quando assume un nuovo corpo, diciamo che nasce.
Questo verso toglie alla morte il suo pungiglione ed elimina la paura della morte dal nostro cuore. A chi non piacerebbero nuovi vestiti?
Ci ricorda anche che il corpo è solo un vestito destinato a deteriorarsi e diventare inutile. Dobbiamo tenerlo pulito e sano, ma non dimenticare il sé che è la realtà permanente.



II                                              23-25

23. Le armi non tagliano il sé. Il fuoco non lo brucia. L'acqua non lo bagna. Il vento non lo asciuga.
24. Questo sé non può essere tagliato, bruciato, bagnato, o prosciugato. E' eterno, onnipervadente, stabile, inamovibile e antico.
25. Il sé è detto essere non-manifesto, impensabile e immutabile. Perciò, sapendo che è così, non dovresti angosciarti.

Espressioni tipo 'Sono ferito. Mi sono bruciato' sono difettose. Così, 'Io sono cattivo', ecc. mostrano che c'è una confusione tra il sé (al quale il soggetto 'io' si riferisce) ed il corpo e la mente che sono soggetti a tutte queste afflizioni. Prendiamo l'espressione 'io sono malato'. Se è vero, allora non posso essere reso sano! E' come l'espressione  'Questa è carta' - che non può essere trasformata in una pagnotta di pane!
Ferire, bruciare, cattiveria, malattia, e così via, sono sovrapposizioni al sé che non ha nulla a che fare con questi e perciò può liberarsene a volontà. La sua natura essenziale come sé immortale, eterno, onnipervadente, stabile e antico si asserisce.
Quindi, anche espressioni comuni tipo 'io sono un uomo', se sono seguite attraverso un'inchiesta interiore ci guideranno alla loro conclusione logica, il sé. 'Io' in realtà non è 'un uomo', perché l'"io" è distinto dal 'corpo-uomo'. L'"io" è al di là di tutte queste modificazioni. E' la sottile essenza nascosta in tutti i corpi, una e immutabile.
"Quella che è la sottile essenza di tutto, in quello tutto ciò che esiste ha il suo essere. Quella è la verità. Quello è il sé. Quello tu sei, O Svetaketu" – (Candogya Upanisad).
E' stolto far finta che tutto questo sia vero. Il nostro Maestro metteva in evidenza il pericolo di una presunta conoscenza . "I cattivi prendono i pesci nel Ganga e li uccidono, razionalizzando la loro azione con il nobile verso «le armi non tagliano il sé"». Tale perversione della verità non farà altro che rendere più remota la realizzazione del sé.


II                                                    26, 27
26. Ma, se pensi che il sé costantemente nasca e costantemente muoia, anche allora, o Arjuna dal braccio possente, non hai motivo d'angoscia.
27. Perché, certa è la morte per chi è nato e certa è la nascita per chi è morto; per questo, su ciò che è inevitabile non dovresti angosciarti.

Le espressioni di Kŗşņa sono molto abili e circospette! Egli non concede che il sé nasca e muoia. Ma, se è questo che pensi, neanche allora c'è motivo d'angoscia.
Dobbiamo imparare ad accettare l'inevitabile. Come dice una famosa preghiera: "Dio, concedimi la serenità di accettare le cose che non posso cambiare; il coraggio di cambiare le cose che posso; e la saggezza di conoscere la differenza". La nascita e la morte sono inevitabili; allora perché preoccuparsi?
Nel secondo verso vediamo la cauta formulazione. La morte è certa per chi che è nato e la nascita per chi che è morto; ma dov'è detto che il sé nasce o muore? La nascita e la morte appartengono all'illusione (all'uso convenzionale o tradizionale), non al sé, il sostrato dell'io. Io non nasco né muoio; la nascita e la morte appartengono alla confusione. Nel migliore dei casi, "nascita" e "morte" sono espressioni convenzionali come il "sorgere" ed il "tramontare" del sole, perché in realtà neanche il "corpo" muore. Nascita e morte sono due stadi apparenti di un incessante cambiamento; hanno delle implicazioni sociali, ma cessano d'essere vere, quando s'investiga su di esse.
Guidando su una strada asfaltata la mattina, trovi un miraggio; quando il sole tramonta, l'illusione scompare (muore). Oh no, non è morto; la mattina seguente, quando il sole sorge, il miraggio rinasce!
Possiamo accettare l'inevitabile con saggezza e coraggio solo se siamo fermamente radicati nella verità o realtà permanente che è totalmente inalterata da questi fenomeni passeggeri.


II                                                      28

28. Gli esseri sono non-manifesti al loro inizio, manifesti nello stato intermedio, o Arjuna, e non-manifesti di nuovo alla fine. Cosa c'è allora da angosciarsi?

Questo è un pensiero molto importante che ci può liberare immediatamente dalla preoccupazione e dall'angoscia. Noi avvolgiamo il momento temporaneo col mantello dell'eternità e ci preoccupiamo della sua vastità, dimentichiamo che quello che accade ora ha avuto una causa nello sconosciuto passato e avrà a sua volta un effetto nell'ignoto futuro. Nelle tenebre dell'ignoranza totale, brancoliamo e ci rompiamo le ossa.
Ci leghiamo ai nostri "possedimenti", dimenticando che eravamo vivi, prima che questi venissero a noi, abbiamo paura di perderli e piangiamo sulla loro perdita. Ignari della legge del karma (causa ed effetto) ci sforziamo di continuo di spingere via l'infelicità e di acquistare la felicità. Spingere via l'infelicità comporta un'infelicità ancora maggiore, lo sforzo febbrile di acquistare la felicità è solo dolore!
La Bhagavatham ci ricorda del mistero della vita: "Non fai nulla per essere infelice eppure ti capita di esserlo, allo stesso modo, la felicità sarà tua senza che tu debba cercarla". Sia l'una che l'altra sono effetti di adŗşţa (il karma nascosto). La meditazione su questo ci priverà d'ogni tensione, dolore e delusione, e spezzerà tutti i nostri attaccamenti.
"La relazione di figlio, amico, insegnante, padre, madre, moglie, fratello o sorella è formata attraverso il corpo a causa dell'attaccamento e dell'illusione. Come dei tronchi d'albero si uniscono e si separano sul fiume, come i pellegrini si uniscono e si separano in una locanda, così anche padri, madri, figli e fratelli si uniscono e si separano in questo mondo. Chi comprende così la natura del corpo e tutti i rapporti umani che su questo si basano, non s'addolora". - Swami Sivananda.
L'enigma del "futuro" è stuzzicante, si è attratti irresistibilmente verso chi professa la capacità di "leggere il futuro". Che strano! A che serve questa conoscenza se "ciò che deve accadere, accadrà"? Al contrario, come ci si può fidare della profezia se la calamità futura può in qualche modo essere evitata? Uno che conosce "ciò che è" non si preoccupa di ciò che è stato o di ciò che sarà.



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La Bhagavad Gita è una breve scrittura di settecento versi, fa parte dell'epica Mahabharata che descrive il conflitto tra i cento figli malvagi di Dhrtarastra e i cinque figli virtuosi di Pandu. La scrittura fu rivelata dal Signore incarnato, Sri Kŗşņa, ad uno dei cinque figli virtuosi, il guerriero Arjuna, sul campo di battaglia.
Vi sono alcuni che si chiedono: sarebbe stato possibile per Kŗşņa e Arjuna avere la disposizione mentale necessaria per discutere dello yoga, con la guerra che incombeva su di loro?... Ma, non può essere che Krsna voleva insegnarci una lezione proprio attraverso l'atto stesso di rivelare la scrittura sul campo di battaglia? Sì, perché la filosofia non è per "discussioni al tavolo di un circolo ricreativo", per usare le parole del mio Maestro, né deve adagiarsi su una poltrona ed essere considerato un passatempo intellettuale, ma dev'essere un'arma con la quale combattere la nostra battaglia quotidiana della vita. Questo è il solo obiettivo con il quale questi pochi pensieri sono offerti ai piedi del Signore che vive nel vostro cuore.
Perché Kŗşņa entra in tutte queste discussioni concernenti la verità ultima? Per una ragione molto semplice: l'azione, quando non è sostenuta dalla vera comprensione, è di per sé un legame, mentre quando è sorretta dalla comprensione della verità, è essa stessa liberazione; è proprio così semplice. Questo è dichiarato anche all'inizio dello Yoga Vasistha: "Non con un'ala sola, l'aquila s'alza in volo, ma al centro di due ali". Un'ala è la conoscenza, l'altra è l'azione e al centro c'è la vita! La tua vita non è solo capire o solo fare. La mente non risvegliata, quando ascolta la filosofia rivoluzionaria della Bhagavad Gita, è capace di una sola cosa: fraintendere. L'azione da sola non è sufficiente, è necessaria anche la comprensione; ma neanche basta capire soltanto, sarebbe come cercare di volare con un'ala sola, è impossibile: l'altra ala è karma yoga.

Chi è il soggetto dell'azione? Quello che in un punto indichiamo come soggetto dell'azione, all'altro estremo è quello che gode o subisce  l'esperienza. Se, per esempio, prendi in mano una canna e la batti su qualcuno, tu sei il percussore e l'altro e il percosso. La tua azione è la sua esperienza, allo stesso modo, la sua azione è la tua esperienza, perciò siamo tutti legati insieme da ogni azione che procede dall'uno o dall'altro. Con questa chiara comprensione, diventi istantaneamente consapevole della sorgente interiore dell'azione, e quindi della fonte dell'esperienza. La fonte dell'azione o dell'espressione è la fonte dell'esperienza. E' chiamata espressione ad un estremo della canna ed esperienza all'altro estremo. E' lo stesso stolto che colpisce ed è colpito! Non è, "Occhio per occhio...", lì c'è dualità, mentre qui no, la canna è solo una. Ad un estremo quello che succede è chiamato espressione e all'altro estremo quello che succede è chiamato esperienza. Quando questa verità-in-azione è direttamente realizzata, sorge quella saggezza che è al di là dell'esperienza e dell'espressione.

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II                                                     29

29. Uno vede questo sé come una meraviglia. Un altro ne parla come una meraviglia. Un altro lo ascolta come una meraviglia. Eppure, avendo ascoltato, nessuno lo comprende veramente.
Meravigliosa è la realizzazione del sé. L'esperienza ultima è non-dualistica e perciò inesprimibile. Non è avuta dalla mente. Il sé è conscio di se stesso. Questo non può essere espresso a parole, né si può formare come concetto dentro di sé, ma uno che ha avuto quell'esperienza cerca di parlarne e può solo dire: "E' una meraviglia"!
Il discepolo ascolta la meraviglia inesprimibile del maestro davanti all'esperienza trascendentale. E' pieno di gioia. Ma l'esperienza rimane al di là dei tre atti di vedere, descrivere e udire.
Il sé soltanto esiste. L'uno appare come molti. L'incondizionato appare come se fosse condizionato, nell'individuo. Questo è dovuto al potere di maya, il potere illusorio di Dio; proprio come il blu del cielo e l'acqua di un miraggio sono illusioni ottiche, questa è l'illusione cosmica. Non chiedere di più. Quando la casa è in fiamme, la prima necessità non è un'infruttuosa ricerca della causa, ma è spegnere il fuoco.
Le Upanişad dichiarano anche che il sé non è realizzato con l'erudizione o la discussione, ma solo con la grazia di Dio acquisita con la resa di sé.
"Il verso può anche essere interpretato in questa maniera: «Colui che vede, ascolta e parla del sé è un uomo meraviglioso, tale uomo è molto raro. E' solo uno tra molte migliaia. Il sé dunque è molto difficile da capire»." - Swami Sivananda.



II                                                      30

30. Quel sé, che risiede nel corpo di ognuno, è eternamente indistruttibile, o Arjuna, perciò non dovresti angosciarti per alcuna creatura.

Questo è il succo dell'argomentazione filosofica.
Il corpo è soggetto a cambiamento, ma neanche gli elementi sono distrutti nel senso di cessare di esistere. La materia stessa in ultima analisi è indistruttibile, perché, com'è stato provato dalla scienza, la massa è energia statica o inerte! La vita non può essere distrutta: l'energia stessa è indistruttibile. La sua apparente distruzione è solo trasformazione.
Il corpo e la vita sono strumenti nelle mani dell'anima che è della natura di pura coscienza. Il corpo è inerte, la vita è cieca energia. E' l'anima che è la direttrice cosciente all'interno di questi due. Non vi è potere più grande di questo, poiché questa coscienza è onnipervadente e perciò una senza un secondo.
"Quel Brahma (il creatore), tutti gli esseri celesti, i cinque grandi elementi, tutte queste piccole creature e le altre, i semi della creazione, gli esseri nati dalle uova, quelli nati dall'utero, dal sudore, dai germogli, i cavalli, le mucche, gli esseri umani, gli elefanti, qualunque altro essere respira e si muove o vola, o è immobile - tutti questi sono guidati dalla coscienza e sono sostenuti dalla coscienza. L'universo ha la coscienza come sua guida. La coscienza è la base o sostegno di tutto. In verità, la coscienza è Brahman", dichiara l'Aitareya Upanisad. Quel Brahman è il sé di tutto e di tutti.
Per usare le parole del saggio Yajnavalkya della Brhadaranyaka upanisad:
"Quando il sé soltanto è tutto questo... come può essere distrutto? Esso è incomprensibile, immortale, indipendente, libero e non soggetto al dolore o alla distruzione". Perciò, l'anima non è fisica o psicologica e non è un concetto o un'entità totalmente indipendente da altre entità; benché incomprensibile, è 'realizzabile'. E' realizzata come l'uno in tutto.


II                                                    31-33

31. Inoltre, avendo considerazione per il tuo dovere, non devi vacillare.
Poiché non c'è niente di più elevato per un ksatriya di una guerra giusta.
32. Felici sono quei kşatriya, o Arjuna, che sono chiamati a combattere in una battaglia che si presenta da sé, come una porta aperta verso il paradiso.
33. Ma, se tu non combattessi questa guerra giusta, allora, avendo abbandonato il dovere e la fama che ti sono inerenti, incorreresti nel peccato.

La società non può essere condotta e l'uomo stesso non può vivere di sola conoscenza trascendentale! E' necessaria una sintesi di alti ideali e pratico senso comune, e questa è stata raggiunta nelle nostre smrti o dharma shastra che sono codici di moralità e che, perciò riconoscono l'esistenza (relativa e passeggera) dei fenomeni.
Come vedremo, La Bhagavad Gita enfatizza l'aderenza al proprio dharma ad ogni costo.
La guerra giusta era combattuta solo nei tempi che precedevano la scoperta dell'aeroplano e della polvere da sparo. Adesso, nessuna guerra - calda, fredda o tiepida - è giusta, perché non c'è un campo di battaglia e c'è distruzione indiscriminata di tutti, dovunque siano, senza alcuna restrizione fatta da giuste regole di condotta. I bambini innocenti vengono uccisi; non combattenti e persone che non hanno neanche un'idea dello scopo della guerra vengono uccisi. Nel contesto attuale tutte le guerre dovrebbero essere abolite - la guerra calda con fucili e bombe, la guerra fredda nel campo della propaganda e del commercio, e la guerra tiepida ad un tavolo di conferenza.
Benché la filosofia dell'indistruttibilità del sé, poteva essere applicata ad entrambi i comandamenti "combatti" e "non combattere", è il dharma shastra o dovere terreno che le dà la direzione giusta.



II                                                      34-36

34. La gente, poi, parlerà sempre di questo disonore e, per uno che è stato onorato, il disonore è peggiore della morte.
35. I grandi eroi penseranno che ti sei ritirato dalla battaglia per paura, e sarai considerato come un uomo da poco da coloro che avevano molta stima di te.
36. I tuoi nemici, facendosi beffe del tuo valore, diranno molte parole disonorevoli: cosa c'è di più penoso di questo?

Una persona saggia non cerca l'onore, sapendo che perderlo è peggio che morire.
In un capitolo successivo, Kŗşņa insiste sul mantenere l'equanimità d'animo nell'onore e nel disonore (XII,19). Perché allora qui dice che il disonore è peggiore della morte per uno kşatriya? Non dobbiamo confondere le due situazioni, perché appartengono a situazioni differenti della nostra vita. La disciplina ha due aspetti - l'autodisciplina e la disciplina sociale; un saggio non sacrifica l'una per l'altra. Per esempio, se un tassista parla senza rispetto ad un giudice sulla spiaggia, questi può tollerare quell'affronto personale per questione di autodisciplina; ma lo stesso giudice dovrebbe querelare anche un ministro per oltraggio alla corte, se questi facesse delle osservazioni che gettano discredito sulla sua capacità di pubblico ufficiale.

La disciplina sociale, d'altro canto, non dovrebbe portare una persona a prendere su di se l'incarico di riformare la società e di imporre al mondo intero quello che lui considera legge ed ordine; allora si potrebbe perder di vista l'autodisciplina e un uomo indisciplinato non può promuovere neanche la disciplina sociale.
Questa è una manovra molto delicata, più difficile che camminare su una corda tesa!





II                                                      37, 38

37. Ucciso, otterrai il cielo; vittorioso, ti godrai la terra. Alzati, dunque, o Arjuna, deciso a combattere.
38. Considerando uguali, piacere e dolore, guadagno e perdita, vittoria e sconfitta, impegnati nella battaglia per la battaglia stessa. Così non commetterai peccato.

Ecco un'intelligente argomentazione basata sulla più alta saggezza! Nel karma yoga, l'azione stessa è lo scopo e il suo adempimento è ricompensa sufficiente; per cui, qualunque cosa accade di conseguenza è accolto con gioia. La coscienza del proprio dovere solleva immediatamente la mente al di sopra delle coppie di opposti che Krsna ha qui citato.
Il piacere e il dolore, il guadagno e la perdita, ecc., sono modificazioni mentali create dal contatto o identificazione dell'anima (purusa) con il mondo (prakrti). - (XIII, 20).
In questo caso, quello che è necessario tener presente è che le nozioni perverse di ciò che è il piacere e dolore, il guadagno e la perdita e così via, ci impediscono di fare il nostro dovere in questo mondo. Istintivamente evitiamo il dolore e ci rifiutiamo di fare quelle cose che (pensiamo) potrebbero causarci dolore o perdita, anche se è nostro sacro dovere. Il nostro intelletto viene in aiuto a questo tipo di comportamento e noi intessiamo delle argute motivazioni, per giustificare la nostra azione e farla apparire giusta. E' precisamente qui che l'uomo con la sua intelligenza può comportarsi peggio della bestia che è totalmente istintiva nel suo comportamento.
Un animo equanime ed una mente bilanciata, che considera alla stessa stregua piacere e dolore, sono requisiti essenziali per eseguire il proprio dharma e, perciò per ottenere la salvezza.




II                                                      39, 40

39. Questa che ti è stata insegnata è la saggezza (buddhi) riguardo il samkhya . Ora ascolta la saggezza concernente lo yoga, dotato della quale, o Arjuna, ti libererai dai legami dell'azione (karma).
40. In questa non c'è spreco d'energia, né c'è alcun pericolo. Anche un po' di questa conoscenza protegge da grande paura.

Qui c'è una sintesi vitale: è tra l'azione e la conoscenza. La filosofia trasportata nel cervello è un fardello intellettuale; la vita o l'azione non guidata dalla filosofia (intesa come saggezza) o da un ideale altruistico (che comporta una continua investigazione della verità) è cieca; come disse Socrate: "La vita non esaminata non vale la pena viverla".
Dobbiamo imparare ad 'essere buoni' e 'fare il bene'. Il benessere della società dipende dalle nostre buone azioni, perciò dobbiamo 'fare il bene'. La società non si preoccupa neanche, se agiamo con un motivo egoistico e un atteggiamento banale; ma il nostro bene e la nostra salvezza dipendono proprio dai nostri motivi e atteggiamenti interiori, perciò dobbiamo essere buoni. La conoscenza e l'azione devono essere integrate; imparare e vivere devono fondere.
La parola 'yoga' introdotta qui ha una molteplicità di significati, come vedremo a suo tempo. Yoga significa 'unione' o 'integrazione'. Per semplificare possiamo dire: "L'integrazione dell'uomo con l'essere trascendente" è samkhya o conoscenza interiore e "L'integrazione dell'uomo con il Dio immanente, con l'universo" è buddhi yoga. Quando prendiamo il sentiero dello yoga, siamo sulla strada giusta verso la salvezza; ogni passo ci porta più vicino alla meta e così non c'è alcuno spreco d'energia. La conoscenza di essere sul giusto sentiero e la fiducia che ne deriva ci liberano da ogni paura. La paura sorge solo nel buio conosciuto come ignoranza.




II                                                                           41

41. Qui, o Arjuna, c'è determinazione risoluta e unidirezionale. Dai molti rami e senza fine sono i pensieri dell'irresoluto.

Avendo intrapreso questo sentiero, uno non deve tentennare o perdersi nelle vie secondarie. "Vyavasāyā" (Determinazione risoluta) è una parola comunemente usata anche per indicare 'agricoltura'. Volendo coltivare un pezzo di terra, un uomo deve applicarsi con risolutezza al suo lavoro. Se ara la terra e poi cambia idea, oppure pianta il seme e trascura il campo per altri interessi, non farà un buon raccolto.
Lo "yoga" è auto-cultura ed è governato dalle stesse leggi dell'agricoltura. Eccole in breve:

1.   Estirpiamo e bruciamo le erbacce. Eliminiamo le cattive qualità nella nostra natura.
2.   Ariamo la terra. Ricorriamo a diverse pratiche yoga per preparare il terreno. 'Rivoltiamo' il terreno, portando alla luce la parte nascosta: i mali oscuri e nascosti devono essere portati alla luce e in questo modo rimossi.
3.   Piantiamo il seme. Ricorriamo al guru che pianta il seme spirituale nella forma di un mantra e anche di conoscenza spirituale.
4.   Innaffiamo il campo. Vivifichiamo il mantra con la fedele ripetizione e la meditazione sul suo significato e sulle istruzioni del guru, aumentando la nostra fede e devozione a lui.
5.   Quando i piccoli germogli cominciano a crescere, li custodiamo attentamente contro le erbacce, gli animali e i ladri. Mentre progrediamo sul sentiero dello yoga, custodiamo la nostra fede e devozione contro le attività nocive e la cattiva compagnia, con una vigilanza costante.

Questa attenzione totale ci porta infine il prezioso raccolto dell'esperienza spirituale e della realizzazione del sé. Questo movimento unidirezionale è brahmacharya.




II                                                                  42, 43, 44
42. Parole fiorite sono pronunciate dai non-saggi, che si compiacciono dei versi esaltanti dei veda , o Arjuna, dicendo: "Non c'è nient'altro".
43. Pieni di desideri, con il paradiso come meta, nei loro discorsi promettono la rinascita come ricompensa delle azioni, e prescrivono varie pratiche specifiche per ottenere piacere e potere.
44. In coloro che sono legati al piacere e al potere, la cui mente è sviata da tali insegnamenti, non si crea quella determinazione che è costantemente rivolta alla meditazione e al samadhi.

'Veda' significa 'conoscenza'; i veda prescrivono certe azioni calcolate per condurci in paradiso. In linguaggio moderno, anche la scienza può essere inclusa qui; non promette forse la scienza di portare il paradiso sulla terra? Tutte queste possono essere nobili professioni, ma un elemento della nostra personalità che né la scienza né la religione ritualistica sono capaci di tenere sotto controllo, distrugge ciò che queste creano: si tratta del desiderio, che è la causa della sofferenza. Non vogliamo portare il paradiso sulla terra, né da qui vogliamo andare in un paradiso. Dobbiamo liberarci della sofferenza inerente alla nascita e alla morte.
Krsna ha dipinto una chiara immagine psicologica della nostra vita qui; riceviamo lo stimolo per esercitare le nostre attività solo da questi due fattori: il desiderio del piacere e del potere. Ognuno vuole diventare un Isvara o Dio (come implicato dalla parola aisvaryaprasakta nel verso 44), anche con i poteri di creare (per esempio lo scienziato che vuole creare la cellula vivente), di proteggere (ogni padre sente di star proteggendo la sua famiglia) e di distruggere. Pur non essendo ammesso apertamente per paura di bestemmiare, questo desiderio è lì nel nostro cuore. L'uomo è dotato d'intelligenza e anche di libera volontà; se l'intelligenza è sopraffatta dal desiderio, rimane con la sola libera volontà stimolata dagli istinti egoistici. Quando la lussuria usurpa il trono alla saggezza, rimane solo la libera volontà. Lo yoga non è alla portata di uno che vive in questo modo.



II                                                                 45, 46

45. I veda trattano dei tre attributi della natura. Sii tu al di sopra di queste tre qualità, o Arjuna. Lìberati dalle coppie di opposti e resta sempre nella qualità di sattva, emancipato dai pensieri di acquisizione e conservazione, e sii stabilito nel Sé.
46. Per il brahmana che ha conosciuto il Sé, tutti i veda sono della stessa utilità di una riserva d'acqua in un luogo dove c'è un'alluvione.
                                      
Questi due versi possono essere facilmente ingannevoli nell'interpretarli! I veda (le antiche scritture e anche le moderne scritture scientifiche!) trattano dell'universo creato. Dobbiamo andare al di là di esso, cioè al di là delle tre qualità della natura (inerzia, dinamismo e bontà). Ma, Krsna vuole che 'rimaniamo sempre nella qualità della bontà'! Cioè, sii al di sopra anche di quella, ma ora, di tua scelta e non per obbligo, sii buono. Non considerare la bontà come un passaporto per andare in paradiso o come un attestato di buona condotta, né come una buona polizza, ma come qualcosa che ti piace essere e fare, perché il male è stolto e pericoloso.
Il secondo verso ha un doppio significato! L'universo e le scritture che trattano del mondo non sono d'alcuna utilità per il saggio realizzato. Oppure: non troviamo che in un luogo invaso dall'acqua, quell'acqua non possiamo usarla per bere? Una riserva è ancora utile, e ha il suo uso limitato. Così, il saggio che ha realizzato il sé userebbe ancora i veda e la scienza moderna nelle loro limitate sfere di utilità, sapendo che la realizzazione del sé è infinitamente superiore a questi. Il saggio è libero da preoccupazioni, perché non ha desideri: non è ansioso di acquisire qualcosa in particolare né di trattenere quello che ha. A che serve legarsi a delle ombre passeggere? Egli mantiene, ma senza un senso di possesso! Se tu abbandoni ogni preoccupazione riguardo a yogaksema  (acquisire e conservare - benessere materiale), e se sei totalmente devoto a Dio, lui si prende cura di te! (v. IX,22).



II                                                              47

47. Il tuo diritto è al lavoro soltanto, ma mai ai suoi frutti. Fa in modo che i frutti del lavoro non siano il tuo scopo, né permettere che il tuo attaccamento sia per l'inazione.

Questo è l'insegnamento centrale della Bhagavad Gita. Tutte le sue sfumature sono trattate in molti altri versi, ma qui è bene insistere su un fattore spesso ignorato.
"Il tuo diritto è al lavoro soltanto" implica che abbiamo un diritto di lavorare e di fare: un diritto che dobbiamo esercitare. Questa frase è spesso letta con l'enfasi su 'soltanto', ma ogni parola merita un'enfasi e ogni enfasi rivelerà una nuova interpretazione! Il Karma crea le circostanze necessarie intorno a noi e ci conferisce le ricompense delle nostre stesse azioni passate. Ma, in quelle circostanze e con quelle ricompense, godiamo ancora del diritto di lavorare e di fare quello che preferiamo. Non ci viene chiesto di rinunciare a questo diritto, ma di esercitarlo e così  non "permettere che il tuo attaccamento sia per l'inazione".
"Ma mai ai suoi frutti" implica che c'è qualcun altro che si occupa della ricompensa - Dio. ("Ricompensa" è un eufemismo che sta per "evento futuro"). Lasciala a lui. Questa non è mentalità da schiavo o fatalismo. E' gioiosa partecipazione nel suo piano. La gioiosa partecipazione scarta idee tipo: "E' Dio un essere capriccioso che ci porterà dolore anche se noi facciamo tutto in maniera non-egoistica?" La gioia di fare quello che possiamo e dobbiamo è di per sé la più grande ricompensa. Invece, è l'uomo che vive di speranza che soffre sempre, anche per paura che la sua speranza non possa realizzarsi!
"Io non alimento speranze, neanche per i frutti del dharma. Il dharma è la mia natura. Chi vuole mungere la vacca del dharma per il suo piacere, non l'ottiene!" – (Yudhisthira, nella Mahabharata).




II                                                                        48

48. Esegui l'azione, o Arjuna, ben saldo nello yoga, abbandonando l'attaccamento e rimanendo in equilibrio nel successo e nel fallimento. L'equilibrio mentale è chiamato yoga.

Lo yoga è 'unione'. Dobbiamo essere in unione con Dio. Questo è essere saldi nello yoga. Non è possibile se abbiamo l'attaccamento per "il mondo" che include il piccolo io, le sue azioni e i suoi motivi. Il conseguimento simultaneo di questo duplice yoga porta ad uno stato equilibrato della mente; usando le parole di Gurudev: "Distogli la mente dal mondo e uniscila al Signore".
L'uomo nella sua ansia di ottenere i desiderati risultati delle azioni, è intensamente legato alle azioni stesse. "Io faccio" - e perché? "Perché mi aspetto che questo avvenga". Se questo avviene è un successo e "io sono felice". Se quello avviene, è un fallimento e "io sono infelice". Anche se è un successo e anche se sono felice per il momento, lo sono sotto l'ombra di una paura molto oppressiva, che non duri; il successo viene dunque eclissato dalla paura di perdere ciò che si è ottenuto! Ecco che l'uomo è sempre angosciato - nel successo e nel fallimento. Per l'uomo veramente saggio, dunque, tutti al mondo sono nel dolore; l'unica differenza è nel grado.
Felice è l'uomo che ha una mente equilibrata; equilibrata nel successo e nel fallimento. Per lui il successo non è un trionfo: è un dovere di cui ci si è liberati. Per lui il fallimento non è una disfatta: perché anche quello è un dovere di cui ci si è liberati. Lui ha eseguito quello che doveva essere fatto - l'azione appropriata - nel giusto spirito. Quello è il proprio dovere. Il compimento del proprio dovere è successo, perciò, da un altro punto di vista, è un successo perenne, benché quel successo non appartenga a lui, ma al Signore al quale è unito. Dio è il padrone: poiché "…suo è il regno, e il potere e la gloria nei secoli dei secoli". L'uomo li condivide, poiché è una cellula nel corpo universale di Dio, ma se non è in sintonia con la volontà di Dio, degenera e muore.



II                                                               49, 50

49. Di gran lunga inferiore allo yoga della saggezza (buddhi yoga) è l'azione, o Arjuna. Nella saggezza cerca rifugio. Sono infelici coloro il cui motivo è la ricompensa.
50. Dotato di saggezza (equilibrio mentale), uno si libera in questa vita sia delle azioni buone sia delle cattive; perciò, dedicati allo yoga. Lo yoga è abilità nell'azione.

La semplice azione, quantunque filantropica o umanitaria, è mera fatica! Anche un mulo può trasmettere molta conoscenza trasportando un gran carico della migliore letteratura; ma nessuno gli darebbe una laurea!
La parola 'rifugio' è importante. Prima di eseguire qualsiasi azione, cerca ordini dalla buddhi. Questa buddhi dovrebbe essere "legata o unita" a Dio. Questo è buddhi yoga. Questa è "abilità nell'azione", un'altra caratteristica dello yoga.
La storia esalta le grandi opere di uomini di straordinaria abilità che hanno dato forma alle nazioni, ma si occupa dei valori sociali, non della saggezza interiore. Le nostre scritture (che sono anche documenti storici) esaltano solo le persone sagge che eccelsero nel buddhi yoga e che erano, quindi, in sintonia con Dio; esse abbondano di situazioni in cui la parte materiale di un'azione era insignificante, ma il cui contenuto spirituale era rilevante: lo spirito è vitale. Si scavano centinaia di tonnellate di terra per ottenere un piccolo ma preziosissimo diamante.
Lo yogi va al di là delle opere buone o cattive. E' questa una licenza? No. Chiediti: "Sono uno yogi? Sono in costante e consapevole comunione con Dio?" Se lo sei, non indulgerai mai in un'azione cattiva. Tutte le tue azioni saranno la manifestazione della volontà di Dio. Quella è vera abilità nell'azione: fare... mettere tutto il cuore e l'anima nel fare... Ma nello stesso tempo, essere libero da un motivo egoistico... Fare il proprio dovere sapendo che è la volontà di Dio.



II                                                                                51

51. I saggi, che possiedono la conoscenza, avendo abbandonato i frutti delle loro azioni ed essendo liberi dalla catena delle nascite, vanno nel luogo che è al di là di ogni male.

In questo e negli ultimi versi è stata compressa tanta di quella conoscenza da bastare per anni di contemplazione. Lo yoga è uno stato equilibrato della mente. Yoga è abilità nell'azione. Yoga è rinuncia dei frutti dell'azione: Yoga è unire la buddhi a Dio. Un approccio unilaterale porterà lo pseudo-yogi nel baratro. Per giustificare la sua caduta nella battaglia quotidiana della vita, egli inventa una fittizia linea di separazione tra vita mondana e vita divina! La promessa di Kŗşņa non è di un paradiso lontano da raggiungere attraverso valli di lacrime, ma libertà dalla tristezza, qui e ora.
Lo yogi deve saper discernere ed essere saggio. Dev'essere calmo e astuto. Dev'essere libero da desiderio e abile, libero da egoismo e sensibile. Dev'essere un pratico idealista! Dev'essere un miscuglio del meglio dei due mondi!  Perché è l'onnisciente, onnipotente Dio che funziona attraverso di lui; e così come ogni cellula del nostro corpo condivide la vita dell'intero corpo, il piccolo uomo limitato vive in sintonia con l'illimitato, felice e beato qui, ora e per sempre.
Le catene furono forgiate dall'ignoranza. Il buddhi yoga le scioglie. Il libero yogi si libra nella regione della luce eterna. Il male, il dolore, la tristezza, la delusione e tutte le fantasie negative della sua vita di sogno terreno scompaiono. Per l'illuminato non c'è il male; anche per la più piccola candela non c'è l'oscurità. L'illuminato è totalmente libero dal male in sé, e non vede il male negli altri - gli 'altri' sono il suo sé! Egli non è più legato dalle nascite, anche se, per compiere la missione divina, rinasce qui. Non è mai tinto dal peccato né mai tormentato dal dolore; questi non esistono per lui. L'illuminato è un gradino più in alto dello yogi menzionato al verso sedici.




II                                                                     52, 53

52. Quando il tuo intelletto attraverserà il fango dell'illusione, allora giungerai all'indifferenza su quanto è stato udito e quanto c'è ancora da udire.
53. Quando il tuo intelletto, perplesso da ciò che hai udito, resterà immobile e saldo nel sé, allora otterrai la realizzazione del sé.

La mente si è riempita di forme erronee di pensiero - le tradizioni, i dogmi, le idee preconcette, i pregiudizi - tutti dal defunto passato. Abbiamo idee morte, cristallizzate e fossilizzate del bene e del male. Vogliamo fare ciò che è considerato buono, almeno per guadagnarci il favore della società! Perciò, l'azione completamente non possessiva, priva di desideri o non-egoista e spontanea non ha per noi alcun significato!
Quest'illusione non scomparirà, quando pronunceremo una formula magica! Udiamo la verità dai grandi uomini, e poi la udiamo ancora più volte (leggere è una forma di ascolto attraverso gli occhi!); mentre la verità penetra lentamente in noi, l'illusione viene scossa.
Ma ciò che è udito non produce lo yoga più di quanto togliersi la benda dagli occhi produca il sole nel cielo! Come i Buddisti Zen, in particolare, credono: la verità splende come il lampo di un fulmine per conto suo, non per reazione ad un'azione da parte nostra. Quando la mente è 'scioccata' nel rendersi conto che tutti i pensieri intrattenuti fino ad allora erano falsi ed altri, che possono sorgere adesso o dopo, sono ugualmente erronei, è perplessa e diventa ferma e stabile. Quella stabilità è samādhī. Quello è yoga. Non c'è più bisogno di ascoltare.
Una ragazza compra diversi libri d'ostetricia. Ne ha letto alcuni. Altri sono ancora sullo scaffale. Nel frattempo, ha un bambino. Ora sa. Non ha bisogno di leggere quei libri!



II                                                                      54

54. Arjuna disse: Qual è, o Kŗşņa, la descrizione di colui che possiede una stabile saggezza ed è assorto nello stato superconscio? Come parla uno che è saldo nella saggezza, come si siede, come cammina?

Lo stato di saggezza serena o coscienza cosmica non rientra né nella comprensione del pensiero né della parola. Non lo si può afferrare col pensiero né può essere descritto a parole. L'atto d'insegnare o istruire comporta necessariamente la descrizione: se questa è esclusa, come può uno aspirare alla coscienza cosmica?
Per questo, le nostre antiche scritture sono piene di storie che illustrano l'uomo ideale. Per esempio, anche la semplice virtù della 'tolleranza' può essere fraintesa e far pensare ad un'impotente sottomissione. Qual'è la differenza tra resa illuminata ed inetta mentalità da schiavo? Esteriormente tutt'e due possono sembrare simili. Per mostrare la distinzione interiore, abbiamo i racconti delle prove e delle tribolazioni che i Pandava dovettero sostenere.
In risposta alla domanda di Arjuna, Kŗşņa dà le caratteristiche vitali di un saggio: queste sono illustrate con grande dettaglio nella vita di Ŗşabha, Jada Bhārata, e di devoti come Prahlāda e Sudama. E' dal loro esempio personale che deriviamo ispirazione diretta. Essi possono (e dovrebbero) solo ispirarci (inspirare in noi). Avendo ricevuto il respiro della vita spirituale, dobbiamo viverlo e neanche cercare di paragonarci ai saggi o di copiarli ciecamente. Lo studio della vita dei grandi santi è il più grande tonico o cibo spirituale, che nessun aspirante yoga può permettersi di trascurare. Le verità spirituali vivono in loro. Lo studio della loro vita e lo studio delle scritture stanno tra loro come mangiare lo zucchero e mangiare della carta con su scritto "zucchero" - senza naturalmente sminuire il valore dello studio delle scritture, che ha il suo posto  d'importanza secondaria nella vita dell'aspirante.



Cap. II                                                                       V. 55

55. Il Signore beato disse: Quando un uomo si libera, o Arjuna, di tutti i desideri della mente, e quando il suo spirito è soddisfatto nello spirito, allora è detto che è di stabile saggezza.

Per l'uomo moderno, totalmente compromesso dalle enfatiche dichiarazioni dello psicologo, che un'azione scaturisce inevitabilmente da un desiderio (quasi sempre egoistico) e da un motivo personale, l'ideale della Gita è incomprensibile. Il biologo, nello studio del comportamento di una singola cellula, spesso dimentica che questa è governata dalla totalità della vita dell'intero organismo; è la vita e l'attività dell'intero organismo che motiva la vita e l'attività della singola cellula. L'uomo è parte di un tutto; la coscienza cosmica esprime se stessa nella vita cosmica. L'uomo stesso è una cellula nel corpo di Dio. Quando i desideri egoistici e personali lo trascinano in una direzione che lo allontana da quella della volontà divina, sente il dolore. Se vive in sintonia con la volontà divina, è libero dal dolore e gode di un senso di appagamento, poiché desidera consapevolmente la volontà divina e si salva così dalla frustrazione che sarebbe inevitabile se desiderasse il contrario.
L'assenza di desiderio o l'indifferenza riguardo al risultato dell'azione non dovrebbe renderci insensibili. Spesso le persone mascherano la loro inefficienza dicendo: "Vedi, a me non interessa il risultato". Se un'azione non l'hai fatta bene, allora non meriti che fallire! Solo se hai fatto il tuo meglio, e hai eseguito bene il tuo dovere, e poi sei rimasto indifferente riguardo al risultato, hai compreso lo spirito della Gita. Certamente uno deve imparare a distinguere tra "desideri o bisogni naturali" come la fame e "desideri della mente" come la voglia di cioccolata. Quando i "desideri della mente" sono rigettati, e la mente è liberata dai motivi e desideri egoistici, siamo gioiosamente partecipi della volontà divina e perciò della beatitudine suprema  o coscienza cosmica.


Cap. II                                                        V. 56

56. Colui la cui mente non è turbata dalle avversità, che non ambisce ai piaceri ed è libero dall'attaccamento, dalla paura e dalla collera, è un saggio saldo nella conoscenza.
Questo è un insegnamento fondamentale della Gita, spesso ripetuto da Sri Kŗşņa per dargli enfasi e perché venga compreso chiaramente. Lo yogi deve accogliere il piacere e il dolore, la prosperità e l'avversità e altre simili coppie d'opposti inseparabili (o complementari) con imperturbabile equanimità. Ovviamente, anche lui diventa loro bersaglio, quando è il momento e anche lui è umano abbastanza da conoscerne la differenza!
Deve anche essere libero da "attaccamento, paura e collera". Rāga è il piacere disordinato, bhaya è la paura, krodha è la collera. Questi tre sono dovuti al nostro atteggiamento mentale e al nostro condizionamento e da questi dipendono interamente. Non è l'«oggetto» che richiede l'attaccamento, evoca la paura o fa sorgere la collera, ma è il nostro atteggiamento che genera queste emozioni.
Il nostro atteggiamento è il risultato della somma delle tendenze o delle impressioni, lasciate nella mente dalle nostre azioni ed esperienze passate. Non tutte le persone hanno paura dei topi e non tutti sono attratti dai dolci! Le tendenze sono diverse. In ogni caso, queste tendenze possono essere modificate, lentamente ma in maniera costante e certa: questo è lo scopo dello yoga. Noi non vediamo prontamente le fonti nascoste di queste tendenze nel subconscio, siamo solo consapevoli delle loro manifestazioni periferiche nella mente conscia. Quando, per mezzo della meditazione, acquietiamo la mente conscia, le fonti subconscie saranno rivelate.
Prima sublimate queste emozioni. Siate legati a Dio e ad una vita sacra, evitate il male e siate "in collera" con il velo dell'ignoranza che nasconde il Sé. Quando, così, le tendenze dei sensi saranno sublimate, anche queste emozioni confluiranno nella loro meta che è la realizzazione di Dio. Allora splenderemo come sthitaprajñā, saggi saldi nella conoscenza.[6]


Cap. II                                                                  V. 57

57. Colui che è ovunque senza attaccamento, che non esulta né si sdegna nell'incontro con qualunque cosa, buona o cattiva, la sua saggezza è stabile.

Il principio più importante da comprendere, quando consideriamo queste coppie di opposti complementari, è che sono d'importanza vitale per ogni crescita. Il caldo e il freddo, la pioggia e il sole, il giorno e la notte sono necessari per la vita stessa che regola la crescita delle piante e della parte "vegetativa" della nostra natura. Il piacere e il dolore, il successo e il fallimento, l'onore e il disonore sono necessari per la crescita della nostra natura "mentale", l'aspetto psicologico che deve in questo modo essere liberato dalle impurità e dai malintesi per arrivare alla più sana stabilità dell'equilibrio mentale. Il bene e il male sono necessari allo stesso modo, perché possiamo elevarci al di sopra di essi!
E' solo perché abbiamo una visione troppo ristretta che c'impedisce di vedere la vita nella sua interezza, che cerchiamo e ci aggrappiamo a quello che consideriamo piacevole mentre lottiamo per allontanarci da quello che sentiamo come spiacevole. Se risvegliamo la nostra saggezza e ci solleviamo da questa vita puramente terrena e materiale, allora dal piano elevato dello stato di yoga, godremo della visione della vita nella sua interezza e percepiremo il disegno meraviglioso di questi opposti che s'intrecciano ironicamente per creare la vita divina. Le coppie di opposti perderanno il loro aspetto spaventoso e riveleranno la loro vera natura come fattori essenziali per la nostra crescita spirituale. Il seme si auto-distrugge e crea la pianta, la pianta si sacrifica per nutrire l'uomo, l'uomo volontariamente sacrifica i suoi piaceri per promuovere il bene degli altri. L'intero universo si assoggetta costantemente a quest'infinita alternanza di opposti in modo che l'anima possa liberarsi dalla dipendenza ad essi. Chi vede in questo modo è un saggio di stabile saggezza, la felicità è con lui, senza che lui la cerchi: la felicità, quando la s'insegue è un premio inutile, perché ci costa la sua perdita. La saggezza costante ricerca la sua propria sorgente, che è il sé, l'eterna, infinita fonte di beatitudine.


 Cap. II                                                                    V. 58

58. Quando, come la tartaruga che da tutti i lati ritira le sue membra, uno può ritirare i sensi dai loro oggetti, allora la sua saggezza diventa stabile.

Questa è una pratica di yoga che dovremmo applicare alla nostra vita ogni giorno. La tartaruga si muove lentamente ed è perciò vulnerabile agli attacchi esterni; eppure la saggezza divina l'ha fornita di una naturale corazza protettiva.
Il nostro progresso o la nostra evoluzione spirituale è anch'essa molto lenta; per tutta la vita, lungo tutto il cammino verso la perfezione spirituale siamo molto vulnerabili alle influenze avverse. A meno che non ci procuriamo una corazza spirituale, non raggiungeremo la meta!
Il nostro Maestro (Swami Sivananda) insisteva sulla necessità di creare un sottofondo del pensiero che costituisce la nostra corazza spirituale nella quale possiamo ritirare i sensi e la mente, in qualunque momento siano minacciati dall'attaccamento (sneha, che in genere sta per amicizia o attaccamento, significa anche colla!) Prima di rimanere impantanati nel mondo, dovremmo ritirare i sensi e la mente in questo sottofondo del pensiero.
Il modo migliore di costruire questa corazza è questo: scegliete un mantra ed un'immagine mentale di Dio. Ripetete questo mantra costantemente e visualizzate anche l'immagine di Dio più che potete. Questo dev'essere fatto soprattutto ed intensamente appena ci si sveglia la mattina e prima di dormire la sera. Questa corrente meditativa dev'essere generata allora; è in quei momenti che dobbiamo costruire questo guscio interiore. Anche senza alcuna provocazione dobbiamo ritirare lì la mente, in qualsiasi momento in cui essa non è realmente occupata in attività importanti, in modo che non rimanga mai in ozio e perciò non diventi vulnerabile. In modo particolare, quando siamo soggetti alle coppie d'opposti come attaccamento o avversione, dobbiamo ripetere subito e intensamente il mantra e contemplare l'immagine di Dio, in modo che la mente sia protetta in questa corazza spirituale, il sottofondo del pensiero.


Cap. II                                                                V. 59

59. Gli oggetti dei sensi si allontanano dall'uomo astinente, ma lasciano dietro il desiderio: anche questo desiderio scompare dopo che si è visto il supremo.
Da dove possiamo cominciare: dalla mente o dai sensi? Se mortifichiamo i sensi, questi perdono temporaneamente la passione per i loro oggetti, ma adagiarsi è ingannevole e spesso pericoloso, perché il desiderio c'è ancora e si nasconde inosservato nella mente! Se non controlliamo anche la mente, non siamo ancora fuori dai guai, ma la mente non può essere controllata se non controlliamo anche i sensi!  Dobbiamo lavorare contemporaneamente sulla mente e i sensi per avere successo.
Le brame, i desideri, l'odio, la paura, l'ira, ecc., sono tutte abitudini profondamente radicate, formate nella citta o mente subconscia. Da li vengono fuori delle ondulazioni (vŗittī) che sono conseguenze, e si manifestano in superficie come pensieri ed emozioni. Quando una vŗittī sorge, dobbiamo cercare non di agire su di essa, ma di lasciarla ricadere nella citta stessa. Nello stesso tempo dobbiamo scoprirne la vera causa ed è con quella che dobbiamo trattare.
I desideri sono la causa delle azioni malvagie, ma i desideri stessi e l'atteggiamento sbagliato verso la vita sorgono dal dare un valore distorto ed esagerato agli oggetti del mondo e dei sensi. Non dimentichiamo mai che, né l'indulgenza né il rifiuto possono aiutarci nell'ottenere il controllo completo della mente; la mente continuerà a ricercare solo quello che le è stato insegnato a valorizzare. Perciò Kŗşņa ci chiede di diventare "mat‑parah" (vale a dire, considerare Dio come l'unico valore stabile nella nostra vita che vale la pena ricercare). Quando Dio è visto in questo modo, anche le radici del desiderio muoiono. Il mondo ed i suoi piaceri perderanno allora quel fascino che tenta l'uomo terreno e tiene lontano l'asceta, cadranno come fattori senza alcun valore nella vita di un uomo dalla stabile saggezza. La mente e perfino i sensi cercheranno solo Dio e in Lui avranno riposo. E' allora che uno diventa un vero devoto, dirigendo le funzioni di tutti i suoi sensi e della mente verso la realizzazione dell'onnipresenza interiore. E'allora che la vita di ogni giorno diventa vita divina.


Cap. II                                                    V. 60, 61

60. I sensi turbolenti, O Arjuna, con violenza rapiscono la mente anche dell'uomo che sa ben discernere, nonostante questi si stia sforzando per controllarli.
61. Avendo acquisito la padronanza su di essi, rimanga stabilmente assorto su di me; è stabilmente fondata sulla somma conoscenza la saggezza di colui i cui sensi sono sotto il suo controllo.

I sensi sono anch'essi potenti; il saggio aspirante spirituale non può mai ignorarlo! Non deve pensare che siccome i sensi dipendono dalla mente per il loro funzionamento, gli basta sedersi e ponderare sui metodi per controllare la mente!
Il fatto stesso che i sensi continuano a funzionare è la prova che una parte della mente è diretta verso di essi; finché siamo vivi, i sensi continuano ad operare, per quanto attenuato possa essere il loro funzionamento. Anche una piccola falla in una diga enorme, può distruggere l'intera diga. Solo quando l'attaccamento al corpo o il falso concetto "io sono il corpo" è completamente eliminato, possiamo mettere un sigillo sulle porte interiori dei sensi. Allora i sensi non reagiranno nella maniera ordinaria alle impressioni del mondo: questo è illustrato nel racconto in cui Bhagavān Ŗşabha Deva camminò attraverso una foresta incendiata!
Finché quello stato non è raggiunto, uno deve praticare sia śama (controllo della mente) sia dama (controllo dei sensi). Il controllo di uno solo qui non è controllo, è come riempire un secchio di cui non abbiamo chiuso i fori attraverso cui l'acqua fuoriesce. Questo controllo bilaterale sarà davvero efficace, solo se il nostro valore stabile è Dio, cui è riferita la frase "assorto su di me". Quando la mente è centrata su Dio, i sensi funzionano solo grazie all'energia residua del passato o per volontà di Dio, mentre il loro impeto per la ricerca del piacere si estingue. La nostra saggezza è stabilmente radicata in Dio, il nostro valore stabile.


Cap. II                                                   V. 62,63

62. Nell'uomo che intrattiene la mente sugli oggetti, si sviluppa l'attaccamento per essi. Dall'attaccamento nasce il desiderio e dal desiderio nasce l'ira.
63. Dall'ira sorge la mancanza di discernimento, dalla mancanza di discernimento la confusione della memoria; dalla confusione della memoria la perdita del raziocinio e dalla perdita del raziocinio l'uomo è rovinato.

Questi versi (i passi della distruzione) sono costruiti in maniera simile ai versi 40-42 del primo capitolo, in cui Arjuna partiva dalla guerra per arrivare alla distruzione della religione tradizionale. Qui il Signore Kŗşņa fa notare che la causa scatenante dell'auto-distruzione è dentro di sé, è l'atto stesso del pensare! I pensieri egoistici o motivati dal desiderio allontanano l'uomo dal suo centro e lo portano a vagare nella periferia, trascinato come su una nave senza timone e senza carte nautiche, in un mare in tempesta, senza una meta, fino alla rovina. Cosa può esserci di più distruttivo che perdere lo scopo della vita umana, la realizzazione del Sé o l'essere stabiliti nel Sé?
"Dhyāna", la contemplazione è il canale attraverso cui la mente va verso la costruzione (integrazione o realizzazione del Sé) o la distruzione. Quando pensa agli oggetti del mondo, prende il sentiero della distruzione. Pensare è importante, può essere positivo o negativo: la persona che ha avversione per il vino, ci pensa tanto quanto la persona a cui il vino piace! Se questo non è ben compreso, anche le buone intenzioni degli asceti incontrano degli ostacoli. Il pensiero stesso dev'essere lasciato cadere, non cercando di sopprimerlo - la qual cosa si fa con un altro pensiero - ma diventando consapevoli della sua radice e della sua origine che è il pensiero "io"! Il Sé è proprio "a fianco" a questo "io". La ricerca del Sé o di Dio è la meditazione; la meditazione dev'essere appunto la ricerca del Sé ed è possibile solo se il nostro valore stabile è il Sé o Dio, il che vuol dire lasciar cadere ogni condizionamento, perché Dio è l'incondizionato.


Cap. II                                                     V. 64,65

64. Ma chi ha il dominio su di sé, muovendosi fra gli oggetti dei sensi, con i sensi controllati e libero da attrazione e repulsione, ottiene la pace.
65. In quella pace, tutti i suoi dolori sono distrutti, perché l'intelletto di chi ha il cuore in pace presto acquista la fermezza.
Questa è, in essenza, la tecnica dello yoga. La mente ed i sensi dello yogi sono sotto il suo controllo, che non è soppressione o repressione, non è ignorare il male e pensare all'opposto, e neanche aderire ad una serie di regole di routine. Tutte queste, anche se utili e auspicabili all'inizio, portano inevitabilmente a fallire. Si tratta di vigilanza interiore: mentre la vita scorre, lo yogi osserva costantemente la mente ed i sensi. La buddhi[7] illuminata che è in contatto costante con il Sé interiore osserva la mente ed i sensi; i desideri e le impressioni psicologiche latenti, che danno loro origine, sono così efficacemente monitorati.
E' difficile decidere dov'è il mondo! Gli oggetti esterni non hanno valore per te, se tu non ne sei consapevole. Quando la mente si concentra su un oggetto, direttamente o attraverso la resurrezione d'eventi passati immagazzinati come memoria, l'oggetto è riprodotto nella mente. Questo causa il sorgere di un desiderio, perché la mente seleziona particolari oggetti in base alle sue tendenze o condizionamenti del passato. Il desiderio, a sua volta, fa sorgere l'ira e fa perdere il discernimento e, quando si perde il discernimento, l'ego s'identifica con la mente e di conseguenza con l'oggetto nella mente e dimentica la sua vera base, l'ātman.
La buddhi del saggio tratta sia l'immagine mentale sia l'oggetto esterno come oggetti di percezione e sviluppa la coscienza-testimone. Così come uno spettatore è inalterato dagli eventi sul ring, lo yogi è il testimone beato, pacifico e tranquillo di questo gioco del mondo.



Cap. II                                                     V. 66

66. Non c'è la conoscenza del Sé per chi non ha la saldezza del controllo e, per chi non ha il controllo, la meditazione non è possibile, per chi non medita non può esserci la pace e per l'uomo che non ha la pace, come può esserci la felicità?

"La pace innanzi tutto" dovrebbe essere il motto che guida la vita della persona saggia; infatti, se non c'è la pace mentale uno non può avere neanche un minimo di felicità su questa terra. La pace non si acquista al mercato! Non si può lottare per questa pace, perchè viene disturbata da quella stessa lotta! Dev'essere scoperta dentro di sé e, cosa ancor più importante e difficile, dev'essere custodita senza che sia turbata dagli avvenimenti esterni. Questo è possibile solo se meditiamo regolarmente e costruiamo intorno a noi una corazza protettiva, a prova di trauma. La meditazione fornisce il sottofondo del pensiero, come, ad esempio: "Io sono l'Ātman immortale, lo spettatore di questo gioco del mondo, non toccato del dolore". Con un'attenzione diligente e spontanea, dobbiamo imparare a mantenere quel sottofondo del pensiero: questa è la verità che viene realizzata nella meditazione.
Pace vuol dire felicità: queste due sono indistinguibili; neanche la pace esteriore è possibile, se non godiamo della pace mentale. Il desiderio del piacere non fa che allontanare il piacere stesso o la felicità, creando tensione o stress. Soddisfare il desiderio allenta solo temporaneamente la tensione, indebolendola; ma presto questa si crea di nuovo: è dolore. La pace sostenuta dalla regolare meditazione, unita alla pratica delle quattro bhāvāna o sano atteggiamento verso il prossimo (amicizia verso gli uguali, gioia verso lo stato dei superiori, solidarietà verso i meno fortunati e indifferenza verso i cattivi) ci assicura un'imperturbabile tranquillità interiore e, quindi, beatitudine suprema e perenne. La consapevolezza della verità che è al di là del pensiero, la luce interiore, renderà impossibile l'insorgere di qualunque pensiero disturbante, mentre la vita naturale (con le naturali funzioni, pensiero, parola ed azione) continuerà a fluire nell'armonia interiore ed esteriore.


Cap. II                                                      V. 67,68

67. Infatti, la mente che segue la scia dei sensi mutevoli, sottrae all'uomo il discernimento, come il vento porta via una nave sull'acqua.
68. Perciò, o Arjuna dal forte braccio, colui, i cui sensi sono distolti dai loro oggetti, possiede salda la capacità di discernere.

Kŗşņa non è per la fuga dal mondo: anche se fosse possibile, questa sarebbe la maniera meno intelligente di distogliere i sensi dagli oggetti; non c'incoraggia neanche alla violenta soppressione dei sensi e della mente. Il suo è un tipo di yoga basato sull'intelligenza ed il senso comune. In un altro capitolo, ci ricorda che i sensi continueranno sempre a reagire agli oggetti dei sensi e che una soppressione fatta con la forza è stolta ed inutile.
Il saggio aspirante modifica con sincerità, senza violenza e senza ostentazione la sua sostanza mentale e mette in atto una sublimazione della sua natura. Lo yukta o yogi vede il mondo nella consapevolezza della realtà e dal suo punto d'unione con essa; i suoi valori interiori sono radicalmente diversi da quelli dell'uomo comune: non è trasportato via da emozioni e sentimenti, desideri e brame.
 Non è facile; le vecchie abitudini morbose devono essere cambiate. Qui alcuni suggerimenti pratici possono essere utili. Rendete volontaria un'abitudine involontaria; poi sostituite, alla vecchia maniera di reagire agli stimoli esterni, una nuova reazione mentale. Iniziate questa nuova abitudine con il maggior entusiasmo possibile. Evitate di scivolare nella vecchia abitudine. Esercitate la nuova abitudine consapevolmente e volontariamente, il più spesso possibile.
In questo processo verrete a trovarvi a faccia a faccia con i condizionamenti che sostengono le vecchie abitudini e queste cadranno via perché indesiderate. Le nuove, sane abitudini diventeranno spontanee. Supererete tutti i condizionamenti e sarete stabiliti nella saggezza divina.


Cap. II                                                  V. 69

69. Quello stato che è notte per tutti gli esseri, per l'uomo che ha il controllo di sé è veglia; mentre tutti gli esseri sono svegli quella è notte per il saggio che vede.

C'è una differenza tra la visione del saggio e quella dell'uomo comune: il saggio "non riesce a capire" come l'uomo trovi i suoi piaceri negli oggetti del mondo, nonostante l'esperienza del sonno gli indichi che la pace è dentro e la vita gli insegni che il piacere è inseparabile dal dolore.
L'uomo comune è all'oscuro del sentiero che lo conduce alla beatitudine del Sé. Il saggio non vede alcun'attrattiva nei piaceri del mondo che, per lui, sono come degli oggetti in una camera buia. Di notte, uno che si trova in una stanza molto illuminata vede solo l'oscurità fuori, anche se c'è il chiarore della luna; nella luce divina della sua realizzazione del Sé, il saggio vede il mondo come una pallida e nebbiosa illusione!
Tamas, l'oscurità o l'ignoranza è davvero difficile da eliminare; l'illusione è l'ultima a morire. E' possibile eliminare il dolore in una mano che fa male, ma a volte c'è dolore in una mano amputata, quella che non c'è o l'arto fantasma! Questo dolore è davvero difficile da curare.
L'uomo del mondo non sa proprio nulla dell'universo interiore delle qualità della natura, dei sensi, della mente, della buddhi, ecc. E' completamente alla mercé della natura che, nel suo caso, è la natura inferiore, l'enorme residuo delle incarnazioni passate.
Il saggio è consapevole del mondo interiore ed è anche consapevole del fatto che il mondo esteriore è parte del corpo di Dio. La terra scompare dalla sua vista; l'intero spazio appare blu: il colore del corpo di Dio!
Attenzione: è inutile cercare di ottenere questa visione senza praticare l'autocontrollo. La visione del saggio non è immaginazione né un'esperienza psichedelica. E' la visione dell'incondizionato, quando tutti i condizionamenti sono caduti via.


Cap. II                                                  V. 70

70. Ottiene la pace colui nel quale tutti i desideri entrano, come le acque s'immergono nell'oceano il quale, riempito da tutte le direzioni, rimane inalterato; ma non l'uomo che dei desideri è preda.

La mente che corre all'esterno, trasportata dai sensi, è piena di cattive qualità, a partire dall'incessante ed insaziabile desiderio, nato da rajas e tamas[8]. La mente che è controllata dalla buddhi è pura; la mente pura è in pace. L'assenza di desiderio è pace.
Kŗşņa ci dà una bellissima metafora che illustra vividamente questa meravigliosa verità. L'acqua si solleva dall'oceano come vapore, il vento lo porta sulla terraferma dove le nuvole si accumulano sulle cime montuose e generano la pioggia. Allora, sotto forma di ruscelli, torrenti e fiumi, l'acqua viene trasportata giù per i pendii ed il suo fato, prima di raggiungere le pianure, è di estrema incertezza ed agitazione. Scorrendo lungo le pianure è un po' più calmo, ma solo quando raggiungerà l'oceano otterrà quella pace suprema che era la sua natura originale! Se invece piove sull'oceano, il vapore che da esso si era appena sollevato, ritrova subito la pace. L'oceano, dal canto suo, rimane sempre inalterato.
L'uomo che vive nell'ignoranza ed è pieno di rajas e tamas è come la nuvola trasportata in vicinanza delle montagne: irrequieta ed infelice. Solo quando raggiunge la pianura dei piedi del guru e del satsang[9] ha un po' di pace. Dopo molta agitazione raggiunge Dio, l'oceano. Ma l'uomo satvico, che non è preda dei desideri, sa come dirigere ogni desiderio verso la sua fonte, il Sé. Quando un desiderio sorge nella mente, lasciate che venga riassorbito in se stesso, la fonte della beatitudine. Il Sé, o ciò che è, non è soggetto ad aumento o diminuzione, anche se ogni vita apparentemente emerge da esso e in esso ritorna.


Cap. II                                                  V. 71

71. La persona che, abbandonando tutti i desideri, vive ed agisce senza attaccamento, libero dal senso di possesso e dell'ego, raggiunge la pace.
L'uomo libero dal senso dell'ego non è come una statua di marmo, ma vive pienamente, solo lui vive davvero. Vive in Dio e Dio vive in lui e opera attraverso di lui; le sue azioni non sono governate da motivi di profitto e non è egoista, in qualunque sua azione.
L'uomo che ha superato l'ego è d'ispirazione per l'intera umanità, è Dio sulla terra. Non possiede nulla, ma davanti a lui anche un imperatore è un povero. Il mio Maestro diceva: "Un samnyāsin (uno che ha rinunciato al mondo) è uno che non ha un suo conto bancario ma opera con il portafoglio di tutti; uno che non ha una propria casa, ma vive nella casa di tutti".
La persona che usa sempre le due parole "Io voglio…" è un povero, anche se ricco; solo un mendicante è in costante stato di bisogno. Al contrario, chi è libero dai desideri è davvero ricco, è un saggio è libero dagli attaccamenti, dal senso del possesso e dall'egoismo.
Ecco il più grande insegnamento, il vero messaggio di Krishna; il mio Maestro amava molto questo verso. Meditate su queste parole tutte le mattine, studiate tutti i giorni la vita di grandi saggi come Jada Bhārata che visse una vita di rinuncia totale eppure andava in giro e lavorava in questo mondo (Jada Bhārata trasportò il palanchino del re Rahugana!).
Il desiderio è la causa della nostra infelicità e ci lega al samsāra (ciclo di nascita e morte) e ci tiene lontani da Dio. L'abbandono dei desideri è la soglia della liberazione. Non si può neanche desiderare di non avere desideri; è vero, il desiderio della realizzazione del Sé pone termine a tutti gli altri desideri e, se è genuino, alla fine estingue anche se stesso, ma anche quel desiderio dev'essere abbandonato. Il desiderio e l'ego scompaiono, quando la loro fonte viene investigata.


Cap. II                                                      V. 72

72. Questo è lo stato di Brāhman, o Arjuna: raggiungendolo l'uomo non è più soggetto all'illusione. Essendovi stabilito anche alla fine della vita, raggiunge l'unità con Brāhman.

Essere totalmente libero dai desideri, dal senso di possesso e dall'idea dell'io vuol dire vivere in sintonia con l'infinito: è l'ego il fattore limitante. E' proprio questo senso di separazione ad essere soggetto alla tristezza e alla sofferenza, al peccato e al dolore. Poiché anche questo senso di separazione sorge nella realtà, nella coscienza cosmica, viene sperimentato come se fosse reale! Di fatto è una non-entità; non è che l'aggregato di un'ignoranza, un condizionamento e un modo di pensare perpetrati nel tempo. Alla sua ombra, la cellula, che è una con l'infinito, parte integrante del corpo cosmico di Dio, e da esso per sempre inseparabile, assume un'esistenza individuale, personale, limitata ed egoistica. Ha dei momenti di gioia, di tanto in tanto, mentre soffre per la maggior parte del tempo.
La gioia momentanea sorge, quando un "desiderio" scompare, il dolore, quando il desiderio prevale. Ha l'illusione di pensare che vi sia la diversità nel mondo, di sentire che alcune cose sono buone ed altre cattive, che alcuni sono amici ed altri nemici. Questo condizionamento creato dall'illusione è il campo in cui operano tutti i mali: da qui sorgono le azioni cattive e tutti i problemi, è la causa stessa dell' agitazione.
Uno che è libero dal senso dell'ego non è soggetto all'illusione e alle sue conseguenze, non è mai deluso, ha avuto esperienza dell'infinito nello stato di assenza dell'ego: nessuna parola può descrivere quest'esperienza, la mente è incapace di afferrarla.
Qui c'è un'allusione e un avvertimento: se uno è stabilito nella coscienza cosmica, non è soggetto all'illusione (e quindi alla delusione); in altre parole, se uno tende ad essere deluso, ovviamente non l'ha raggiunto. Se, però uno vacilla, anche nell'ora della morte (come accadde a Jada Bhārata) si rimane soggetti alla nascita e alla morte. Se vi si rimane fermamente stabiliti fino all'ultima ora, si raggiunge brāhma-nirvāņa, la liberazione finale.
Questo è lo scopo della vita: la vigilanza eterna o l'incessante consapevolezza è il sentiero.




Così, nella upanişad della gloriosa Bhagavad Gītā,
la scienza dell'eterno, la scrittura dello yoga,
il dialogo tra Srī Kŗşna e Arjuna,
termina il secondo discorso intitolato:

IL SÂŇKHYA YOGA


1) Arjuna, figlio di Pŗthā.
[2] Pratica spirituale.
[3] Krshna, uccisore di Madhu.
[4] Difetto della vista in cui le immagini appaiono sdoppiate.
[5] Ji, pron: gi
[6] Cfr. Lucrezio: «La religione non consiste nel volgersi di continuo verso la pietra velata, non nell'accostarsi a tutti gli altari e nemmeno nel gettarsi a terra prostrati; non nell'alzar le mani dinanzi alle dimore degli dei, né nell'inondare del sangue delle vittime i templi, né nell'ammucchiare offerte su offerte; bensì nel considerare tutto con spirito tranquillo» (De rerum nature)
[7] Buddhi: Intelletto; comprensione, ragione
[8] Satva, rajas, tamas: sono i tre aspetti dell'energia cosmica, le tre qualità della natura che influenzano la mente. Satva è luce, purezza, realtà. Rajas è il dinamismo; la proiezione della realtà come diversità; la qualità che genera la passione e l'agitazione. Tamas è ignoranza, inerzia, oscurità, caducità.
[9] Associazione con i saggi.