E' VERO QUESTO 'IO'? SCOPRILO!



E' VERO QUESTO 'IO'? SCOPRILO!

Swami Venkatesananda

Quali sono gli ostacoli alla visione della verità e come eliminarli.
Seminario a Parigi, Marzo 1982.


Swami Venkatesananda, discepolo diretto di  Swami Sivananda e suo segretario personale, in questi otto discorsi basati sugli “Yoga Sutra” di Patanjali, testo base del Raja Yoga, lo Yoga della Meditazione, ci guida nell'osservazione interiore alla ricerca dell’io.
E' un viaggio alla scoperta della nostra propria natura, della nostra vera essenza, verso quella visione del mondo che è la dimensione del saggio: la sua visione diretta.
Le conferenze furono tenute durante un seminario di sette giorni, nella periferia di Parigi, nel Marzo 1982.
Persone di ogni età, provenienti da tutte la parti del mondo, di diverse tradizioni e religioni si erano raccolte intorno al Maestro. L’ispirazione che si percepiva alla sua presenza, la sua saggezza e il suo umorismo non possono essere pienamente resi in uno scritto
Ogni mattina iniziava con un’ora di meditazione in una sala che dava sul giardino i cui alberi cambiavano quasi ogni giorno il loro aspetto, rivestendosi del verde tenero dei primi germogli.  Il convegno, conclusosi nel primo giorno di primavera, lasciò in ognuno, nel profondo del cuore, una certezza che rimane anche in quei momenti quando in superficie c’è agitazione e incertezza.





A cura di
Pasquale D’Adamo 
 Associazione Yoga Sivananda
Vasto





L'aroma dei fiori, per quanto forte
possa esserne il profumo,
non può viaggiare controvento ma,
la fragranza della persona buona lo fa.
La sua fama gira intorno al globo.
Il profumo di tutti i fiori del mondo
non è nulla a confronto della fragranza
di un carattere eccellente,
che si solleva fino alla dimora degli angeli.
Il cattivo non può scoprire le vie
di quelle persone che sono di carattere perfetto,
poiché queste sono completamente libere
dalla disattenzione e dall'ignavia
e sono sempre vigili.
Come un giglio  sorge da un mucchio di rifiuti,
così un illuminato risplende
In mezzo a coloro che non conoscono la verità.

Buddha Sakyamuni , Dhammapada,4.     







PREGHIERA

Om
Asato ma sat gamaya
Tamaso ma jyotir gamaya
Mrtyor ma amrtam gamaya

Conducimi dall'irreale al Reale
Conducimi dalla tenebre alla Luce
Conducimi dalla morte all'Immortalità






  INTRODUZIONE AL SEMINARIO - Swami Venkatesananda

La conoscenza di cui abbiamo bisogno per trovare la verità, il vero sé, la pace, è tutta lì, è già stata rivelata; quando si ricevono delle indicazioni per arrivare ad un posto, è tutto chiaro e preciso, ma poi ci rendiamo conto che queste non bastano:  si ha bisogno dell’esperienza diretta, solo allora tutto diventa chiaro. Nello stesso modo, nonostante tutto ciò che sentiamo e leggiamo, la verità non è chiara e, se sembra chiara, si tratta solo di un’illusione. C’è una bellissima espressione nella “Bhagavatam”:
“Anche i grandi saggi e i santi si riuniscono frequentemente, senza alcuna considerazione riguardo la superiorità dell’uno verso l’altro, e si ricordano l’un l’altro della verità”.

Certo, possiamo anche pensare per conto nostro alla verità, a degli insegnamenti, possiamo leggere dei libri, ma nessuna di queste cose ha la stessa efficacia del sentirlo da un altro.
Esponiamoci a vari insegnamenti di diversi maestri, eliminiamo ogni pregiudizio. Rendiamoci conto che tutti questi grandi uomini: Gesù, Buddha, Mosè, Krishna e altri si sono sforzati alla ricerca della stessa verità, della stessa meta, anche se questa è stata espressa in diversi modi.
Potete chiamare questa meta: libertà dalla tristezza, libertà dalla paura, pace suprema, potete chiamarla nirvana, mokhșa, salvezza, coscienza cosmica; in definitiva, tutte queste parole vogliono dire esattamente la stessa cosa, senza alcuna differenza, eccetto il modo di scriverle e pronunciarle.

Per rendere questo messaggio più vivo, ho messo insieme dei libri, raccogliendo e traducendo da queste scritture. “Venkatesananda Yoga” non è niente di nuovo, niente di speciale, eccetto il fatto che è quello che ho appreso dal mio Guru Swami Sivananda.
Swami Sivananda ci disse che la salvezza è dentro di noi, che nessuno può porgercela. Se la salvezza è dentro di noi, se il “regno di dio è dentro di noi”, se la strada è dentro di noi, allora  perché non siamo consapevoli di questa salvezza?  - Questo è il problema principale.
Quali sono gli ostacoli, cosa ostruisce la visione della verità? Come eliminare questi ostacoli? Questo è il tema dei discorsi che terremo nei prossimi giorni.



                                                                                        


Primo Discorso – L’essenza dello Yoga


Lo yoga non crea né produce qualcosa, ma rivela quello che già esiste: ricordate questo fatto perché è fondamentale. Una cosa che è prodotta deve scomparire, tutti noi che siamo nati dobbiamo morire; un edificio che è costruito, alla fine sarà abbattuto: forse a causa di un agente umano, forse a causa di un altro agente.  Che cosa resterà? Solo quello che non è stato prodotto. Tutto il resto, tutte le “creature” sono soggette a cambiamento; perciò lo yoga non è un tentativo di creare qualcosa di nuovo, perché anche questa, a sua volta, finirebbe.
Guardando però ai manifesti pubblicitari sullo yoga, vi accorgete che gli yogi proclamano alcune cose: a) avrai un’ottima salute, b) avrai la pace mentale, c) troverai la felicità eterna, d) otterrai la realizzazione cosmica.
Tutte queste cose sono vere, perfettamente vere; ma lo yoga non crea alcuna di queste cose. Se la realizzazione cosmica è creata, essa deve anche venire alla sua fine. Se la felicità è prodotta, deve anche finire. Se la pace è ottenuta mettendo delle cose insieme, deve anch’essa finire. Se è così, questo yoga non è di alcun aiuto, ma è piuttosto pericoloso.
In una situazione diversa, nelle antiche epiche e leggende in sanscrito, ci sono delle espressioni che ora accenno solamente. In un racconto un giovane è bandito dalla propria terra e la madre piange e grida: “Sarebbe stato meglio non avere avuto per niente un figlio, che averlo e vederselo portato via!” In un altro famoso racconto, un figlio nasce in una famiglia dopo tante difficoltà, ma poi crescendo dimostra di essere crudele e pieno di vizi; anche qui i genitori affermano che sarebbe stato meglio non avere avuto quel figlio: non avrebbero avuto quel problema.
E’ meglio allora essere infelici dalla nascita alla morte o è meglio provare grande felicità e poi vedere il tutto cadere?
Probabilmente il primo caso è il migliore: non sai proprio nulla e sei spensierato, soddisfatto nella tua infelicità. Se dunque lo yoga promette di “darti” la felicità, di “creare” per te la felicità, allora per favore ricorda che quella gratificazione è soggetta a disfacimento, è soggetta ad una fine, e questa sarà la cosa più tragica; ma non è quello lo scopo dello yoga.
E’ ripetuto continuamente, senza tregua, in tutti i testi di yoga, anche negli “Yoga Sutra” di Patanjali, che tutto ciò che facciamo in nome delle pratiche yoga: āsana, prānāyāma, meditazione, satsang, studio, incluso la più alta forma di meditazione, tutto ciò ha come unico scopo quello di rimuovere, eliminare gli ostacoli, le impurità.
Patanjali dà una bellissima lezione a proposito, affermando che lo yogi si comporta precisamente come fa un giardiniere.  Il giardiniere non crea un fiore, non può farlo; eppure, senza il giardiniere quel fiore non si ottiene. Se si afferra un po’ questo messaggio, allora ci si rende conto di un genere di “importanza” che non è decisiva. Un uomo e una donna non possono creare un bambino, ma senza questa coppia, il bambino non è neanche concepito!  E’ un doppio negativo. Allo stesso modo, il guru non ti dà la realizzazione del sé, ma, senza il guru, non puoi ottenerla. Non è detto che studiando le scritture, mantenendoti le narici o sedendoti in meditazione otterrai la realizzazione, ma senza queste pratiche, non la otterrai ugualmente.
C’è una certa “importanza”... ma … tutte queste pratiche yoga, in altre parole, “preparano il terreno” ed eliminano gli ostacoli per la crescita della pianta.
Questo è detto molto chiaramente negli “Yoga Sutra”, nella “Bhagavad Gita” e altrove. Quando gli ostacoli sono rimossi, ciò che già esiste è “realizzato”. “Realizzato”: il reale è reale anche ora, ma ... per me non è reale.  Allora, quando lo yoga si manifesta spontaneamente, “il reale è”.   Lo è, e solo il reale è. Senza ombra  di dubbio, sai che ciò che è reale è reale, non perché tenti di indovinare. Non è come a Carnevale, che un ragazzo si mette una gonna, tu lo vedi passare per la strada e dici: “Oh, che bella ragazza! ... Ma è una ragazza o un ragazzo?” Non sei sicuro, ma che tu sia un ragazzo o una ragazza, non c’è dubbio; almeno tu non hai alcun dubbio.  Questo vuol dire realizzare.  Nel primo caso tentavi di indovinare: “È possibile che ciò che è conosciuto come realtà esista”, nel secondo caso, sai quello che è e che solo il reale è. Quello che è reale, stranamente “diventa” reale, ma non nel senso che non lo fosse già da prima. Era sempre vero ma ... oh, sfortunatamente non lo sapevo, come avviene nel sonno. Nel sonno non sai se sei un uomo o una donna, ma nel sonno c’era l’inconsapevolezza e quando quell’incoscienza viene rimossa, la realtà si realizza.
Rimuovere gli ostacoli, le ostruzioni è il compito dello yoga: se non hai capito questo, allora stai praticando lo yoga in maniera confusa, quasi inutilmente. Questo è vero a tutti i livelli. Hai una vista buona ma insufficiente, allora vai da un oculista e lui ti prescrive gli occhiali. Gli occhiali ti sono di aiuto perché la vista c’é ancora. Se invece una persona non vede per niente, quali potenti occhiali possono essergli d’aiuto?  La vista è andata via, allora che occhiali puoi mettere?             
La salute è già lì nel corpo, ma è coperta da sostanze tossiche; lo hatha yoga rimuove queste sostanze tossiche e la salute si manifesta, si realizza. Questa è una cosa molto importante da ricordare, altrimenti può darsi che ci mettiamo a provare ogni sorta di cose strane. Il corpo è qualcosa che è stato creato: è nato in tale data e arriverà anche alla sua fine. Se devo morire tra un’ora, pensate che forse mettendomi in sirsāsana possa vivere per altri dieci giorni? No, anzi morirò ancora più velocemente!  Solo se c’è vita sarai vivo; un po’ più vitale se elimini le sostanze tossiche. Tutte le āsana yoga, ecc. dipendono interamente da quella vitalità, da qualcosa di non conoscibile chiamato “vita”.  Nessuno sa e tutte le teorie possono solo essere speculative: questa pratica prolungherà la mia vita? Forse sì, forse no.

Il corpo ha la salute, ma delle sostanze tossiche: alcool, sigarette, nicotina... vi hanno creato della tossicità.
Praticando le āsana yoga, il prānāyāma, mangiando il tipo giusto di cibo e così via, la tossicità può essere eliminata. Prolungherà la vita? ... Forse.  Mentre pratichi, pensi che ti prolungherà la vita, ma una volta che sei morto, non ci sarà nessuno cui potrai chiedere! Queste sono tutte affermazioni assurde e se ti basi su di esse, probabilmente sarai scosso più spesso; cominci a preoccuparti: “Come mai tale grande yoghi che praticò lo yoga per tutta la vita, è morto così giovane? Aveva solo cinquantadue anni...”. Per vostra informazione, la maggior parte dei grandi santi è morta giovane, prima dei cinquant’anni.

Tutto ciò che lo yoga riesce a fare è togliere la tossicità dal corpo e farti essere quello che sei.  Ecco!  Riportarti al tuo stato naturale!
Non cambierà il colore dei tuoi capelli: se sei biondo, ci resterai. Non cambierà la forma della tua faccia; se continui a stare a testa in giù non otterrai certo una testa tonda!!
Lo yoga ti riporta al tuo stato naturale.  Lo stesso avviene per la mente.  C’è dell’inquietudine: il prānāyāma, la meditazione, eliminano l’inquietudine e ti riportano allo stato naturale... lo stato naturale è pace.  Alcune persone sono nate con una certa natura che a te sembra inquieta, ma esse in realtà non sono agitate. Una cosa è chiara: in quello stato non c’è dubbio, non esiste confusione. Una persona può nascere con un temperamento dinamico: continuerà ad avere tale temperamento; una persona può nascere con un temperamento introverso, continuerà a essere introverso, ma in entrambi i casi non ci sarà confusione. La confusione nasce quando, dalle parole del verso 30 del primo capitolo degli Yoga Sutra:
“O non hai trovato una base salda nella vita interiore, o l’hai trovata, ma ti scivola via per mancanza di fermezza nel seguire la ricerca”.
In entrambi i casi c’è confusione o ignoranza e la tossicità a ogni livello, sorge proprio da quest’ignoranza (avidya). Se tale piccolo messaggio è chiaro, allora, tornando allo studio del sutra trenta del primo capitolo, capirai il tutto chiaramente.

Questi sono gli ostacoli (antarāyā) dice Patanjali, dopo averne dato una lunga lista; essi sono ostacoli perché producono agitazione, inquietudine, disturbo alla mente.
C’è uno stato chiamato “citta vikṣepā”, che significa “mente non ferma”. Quando la mente non è ferma, c’è confusione. La mente può essere molto attiva ma ferma, controllata: la fiamma di una candela forma migliaia di scintille in ogni secondo, ma è ferma, costante, continua.
Una persona dinamica, che può anche sembrare agitata, può essere perfettamente controllata dentro di sé.
Questo non è per niente un ostacolo!  E’ la sua natura!   Questa ragazza cammina col passo lungo, l’altra con un’andatura veloce: l’una non deve imitare l’altra, né viceversa.  Perché dovrebbe?  A qualcuno che dalla finestra guarda queste due ragazze che si allontanano camminando, può sembrare che l’una cammini con grande pace e che l’altra sia inquieta. Non è così!  In se stessa, ciascuna è indisturbata!  La parola “disturbato” è molto interessante. “dis-turbato”: turbolenza e anche torbidità. L’acqua è già fangosa, se la disturbi diventa ancora più torbida: ora non riesci a vedere più niente in essa.

Qualunque sia la tua natura: dinamica, apparentemente inquieta, pacifica, introversa, se c’e’ chiarezza interiore, stai bene. 
Se questa non esiste, allora c’è turbamento interiore nei due sensi: turbolenza e torbidità.  Quando questi due fattori sono lì insieme, non c’è chiarezza, non c’è comprensione: questo è l’ostacolo. L’equazione può essere letta dall’altro lato: qualunque cosa porti tale stato è da considerarsi un ostacolo.

Vi do di nuovo un’illustrazione un po’ cruda per considerare due tipi di mente: posso darvi l’esempio di due swami che conobbi molto, molto bene. Uno era di temperamento molto devoto, nobile, direi quasi illuminato, ma doveva esplodere come un vulcano ogni uno o due mesi; a parte questo era calmo e mite. Se lo contraddicevi o iniziavi a dibatterti con lui... uh! Ti riduceva in frantumi, ma era miele, era dolcezza, era bontà. L’altro swami non litigava quasi mai con nessuno, ma se lo faceva, tornava in camera sua tremante e stava male, tanto da non riuscire a dormire.
In poche parole, semplificando al massimo, una persona si ammala se non esplode, l’altra si ammala se lo fa!  Noi non siamo i giudici, non sappiamo cosa sta succedendo e come.  Tu ed io non possiamo giudicare queste cose: è una perdita di tempo.  L’uno è lo stato naturale del primo, l’altro è lo stato naturale del secondo: TROVA IL TUO STATO NATURALE!  In quello stato naturale non c’è confusione, non c’è disturbo.

Un altro esempio che posso darvi riguarda un altro grande amico di Swami Sivananda il quale era un generale dell’esercito indiano, un generale combattente.  Lui stesso mi raccontava che, mentre la guerra era in atto, con le pallottole che volavano intorno, riusciva a sedersi e meditare.  Era forse una persona tanto calma o pigra?  Assolutamente no: se s’innervosiva con te, poteva anche tagliarti la testa come niente fosse. Nella battaglia combatteva furiosamente, ma senza perdere il suo equilibrio interiore, che solo lui conosce o solo Dio lo sa, noi no.  Non possiamo giudicare dalle apparenze esteriori.

“Citta vikepās te antarāyā (Yoga Sutra 1,30)

Questi provocano torbidità e disturbo nella sostanza mentale e perciò sono ostacoli.  Se consideriamo una grande personalità come lo era Swami Sivananda, era affetto da una miriade di quelle che noi chiamiamo malattie; se tali malattie non intaccano il suo equilibrio interiore, non sono degli ostacoli.  Non ha senso chiedere: “Era un grande yogi, perché aveva il diabete?” E’ il suo stato naturale, non preoccuparti, non disturba il suo equilibrio mentale, perciò va bene.

Come si riconosce l’esistenza di questi ostacoli?  Ci poniamo la domanda perché non è per niente facile discernere.  Se si generalizza, si è condotti in un tipo o l’altro di trappola.  Il sutra successivo dà delle indicazioni sul manifestarsi di questo problema e su come riconoscere gli ostacoli.

dukha daurmanasyā ‘gam ejayatva
śvāsa praśvāsā vikșepa saha bhuva  (1,31)


Alcuni accenni sono dati.  Comincerò al contrario, in modo da avere la parte più importante per il nostro discorso, alla fine.
1) Se osservi la tua respirazione, puoi imparare moltissimo sul tuo stato mentale.  Il tuo stato mentale è direttamente riflesso dal modo in cui respiri – l’osservazione stessa di come respiri può essere prānāyāma.
2) Il movimento non necessario del corpo è indicazione che la mente non è ferma.  Per addestrare il corpo a non muoversi inutilmente, si praticano le āsana (posizioni) di yoga.
3) “Daurmanasyā” indica mente in cattivo stato: cattivo umore o pensieri cattivi.
4) “Dukha” è infelicità: penso che questo sia il nostro problema principale. La sua controparte è “suḥkha” che vuol dire felicità.

Sukha e dukha sono composte ciascuna di due sillabe in cui “kha” vuol dire “spazio”. In questo caso non si tratta di spazio fisico ma psicologico. Intorno ad ognuno di noi c’è uno spazio psicologico; esso può essere sano, pericoloso o non del tutto sano. Dipende da noi riempire questo spazio con qualcosa di buono o con qualcosa di cattivo.

Per l’uomo illuminato, invece, la visione del mondo è diversa:
Se questo è il mondo in cui noi viviamo, in esso noi siamo tanti punti. Il punto è un’entità che non ha dimensione. Considerando ciò, non possiamo prendere un punto e dargli una dimensione; i punti si possono ignorare: allora c’è unità totale. Allora solo lo spazio è: non è né spazio buono né spazio cattivo, ma solo spazio. L’uomo illuminato è quindi andato oltre il problema di felicità e d’infelicità. Un’altra persona pensa di essere infelice a causa di questo spazio che è formato dall’ego, dal pensiero.

Se si potesse eliminare quello spazio tra noi due e avvicinarsi che cosa succederebbe? ...  Ora sono sposati: sembra che quello spazio dove l’infelicità poteva sorgere sia stato abolito...oh, bene!
Questo può continuare; essi possono avere dei figli o creare un gruppo, una chiesa, un centro yoga, ecc.. Ma, ogni volta che c’è un’espansione, è solo l’ego che espande, creando uno spazio sempre più grande d’infelicità o di una qualsiasi altra modificazione mentale. L’ego non è abolito ma è restato lì creando il suo proprio spazio. Quando un ego e un altro ego sono separati, allora c’è uno spazio intorno a ciascuno che sembra dare a ognuno una certa quantità di libertà; ma quella libertà non può essere assoluta: alla fine deve venire in una situazione di conflitto.  Quando cerchi di risolvere un problema entrando in un rapporto, (qualsiasi relazione: marito-moglie, padre-figlio, guru-discepolo) sembra che tra voi due il problema dello spazio psicologico sia risolto.  Un’espressione del genere ci è data da Rut nella Bibbia:
    “... il tuo popolo sarà il mio popolo, il tuo dio sarà il mio dio; dove tu morrai morrò anch’io...”     (Rut 1,16)
E’ come dire: la tua felicità sarà la mia felicità, la tua gioia sarà la mia gioia, la tua infelicità sarà la mia infelicità. Va bene; anche se ciò è possibile, non è una soluzione completa al problema della tristezza, dell’infelicità. Pensi che sia andata via, invece non è così.
L’ego si è espanso a inviluppare l’altra persona, ma l’ego di uno non può completamente sciogliersi, perdersi nell’ego di un altro: benché i due pensino di essere uno, ciascuno lo pensa a suo modo, in modo diverso dall’altro, dunque, già qui c’è un problema. Possiamo risolvere questo problema allontanandoci di nuovo l’uno dall’altro?
No!  Perché allora ci ricreiamo il nostro spazio intorno a noi, e riempiamo quello spazio con ogni sorta d’idee, immagini, problemi, anche se in un certo senso, questo può essere meglio che scontrarsi in continuazione.

Cos’è che crea questo spazio intorno a noi?  E’ il pensiero.  Il pensiero è spazio.  Come lo sai?  Esaminando lo stato del sonno. 
Patanjali dedica un sutra completo a questo. “Contempla lo stato del sonno e del sogno”. Nel sogno gli oggetti e i personaggi stessi del sogno, che sono tutti dentro di te, sembrano moltiplicarsi e ognuno sembra essere un ego indipendente, benché in realtà, essi non siano indipendenti neanche da chi sogna.  Nel sonno, invece, non c’è spazio psicologico o, forse, c’è solo spazio, ma non c’è pensiero.  Finché non raggiungiamo questo stato in cui l’identità dell’ego è ricercata e l’ignoranza concernente l’ego è totalmente dispersa, non sembra esserci alcun’altra strada.

Finché la mente non è ferma, essa creerà dello spazio tra me e voi o tra noi tutti insieme ed altri. Finché la mente non è ferma, si entrerà in qualche relazione, quando ci sono due spazi diversi che vengono in collisione, c’è problema, e tale collisione non può essere attutita “sigillando” quella relazione, assegnandogli un nome, no, no!
Tu sei ancora tu, io sono ancora io. Noi insieme possiamo formare una coesione per battere qualche altro: ma “dukha” è ancora lì, perché la mente non è ferma.
Perché la mente non è ferma?
La sua sorgente non e’ stata ricercata, non e’ stata scoperta. La sua sorgente è quel punto che, pur non avendo dimensioni, ad un certo momento ha assunto una dimensione.  L’ego che non ha dimensione, ha assunto una dimensione - quando questo avviene, allora immediatamente entra in una relazione. Tale relazione non può essere né abolita né rinforzata per risolvere il problema. La saggezza è invece nell'inchiesta sulla radice di questa relazione, che è l’ego. 

Se l'ego è scoperto essere esistente come un punto nello spazio, allora troverai che lo spazio è, e non può essere inquinato.  Realizzi che non può esserci davvero né felicità né infelicità e quello stato è chiamato “beatitudine”.

Se non scopriamo questa verità e insistiamo nel perseguire quella che noi chiamiamo felicità, continuiamo a creare uno spazio intorno a noi, che cerchiamo di riempire di felicità - o almeno, di quelle cose che  noi pensiamo sia felicità, e ‘godiamo’ di una frustrazione senza fine!

Ecco quindi l’essenza dello yoga: può questo ego o “io”, che è stato assunto come esistente e al quale è stata data una certa dimensione (mentre non è altro che un punto nello spazio), essere ricercato? Possiamo guardarlo?  Possiamo eliminare tutti gli ostacoli a questa ricerca, a questa osservazione?  Può esserci chiarezza in questa visione?

Quando la sorgente dello spazio dell'ego, del pensiero è trovata e realizzata, l’ego non c’è più; e non c’è più un correre dietro la felicità. Quando noi non corriamo dietro alla felicità, è questa che corre dietro a noi.