E' VERO QUESTO 'IO'? SCOPRILO!
Swami Venkatesananda
Quali sono gli ostacoli alla visione della verità e come eliminarli.
Seminario a Parigi, Marzo 1982.
Swami Venkatesananda, discepolo diretto di Swami Sivananda e suo segretario personale, in questi otto discorsi basati sugli “Yoga Sutra” di Patanjali, testo base del Raja Yoga, lo Yoga della Meditazione, ci guida nell'osservazione interiore alla ricerca dell’io.
E' un viaggio alla scoperta della nostra propria natura, della nostra vera essenza, verso quella visione del mondo che è la dimensione del saggio: la sua visione diretta.
Le conferenze furono tenute durante un seminario di sette giorni, nella periferia di Parigi, nel Marzo 1982.
Persone di ogni età, provenienti da tutte la parti del mondo, di diverse tradizioni e religioni si erano raccolte intorno al Maestro. L’ispirazione che si percepiva alla sua presenza, la sua saggezza e il suo umorismo non possono essere pienamente resi in uno scritto
Ogni mattina iniziava con un’ora di meditazione in una sala che dava sul giardino i cui alberi cambiavano quasi ogni giorno il loro aspetto, rivestendosi del verde tenero dei primi germogli. Il convegno, conclusosi nel primo giorno di primavera, lasciò in ognuno, nel profondo del cuore, una certezza che rimane anche in quei momenti quando in superficie c’è agitazione e incertezza.
A cura di
Pasquale D’Adamo
Associazione Yoga Sivananda
Vasto
L'aroma dei fiori, per quanto forte
possa esserne il profumo,
non può viaggiare controvento ma,
la fragranza della persona buona lo fa.
La sua fama gira intorno al globo.
Il profumo di tutti i fiori del mondo
non è nulla a confronto della fragranza
di un carattere eccellente,
che si solleva fino alla dimora degli angeli.
Il cattivo non può scoprire le vie
di quelle persone che sono di carattere perfetto,
poiché queste sono completamente libere
dalla disattenzione e dall'ignavia
e sono sempre vigili.
Come un giglio
sorge da un mucchio di rifiuti,
così un illuminato risplende
In mezzo a coloro che non conoscono la verità.
Buddha Sakyamuni , Dhammapada,4.
PREGHIERA
Om
Asato ma sat gamaya
Tamaso ma jyotir
gamaya
Mrtyor ma amrtam
gamaya
Conducimi dall'irreale
al Reale
Conducimi dalla
tenebre alla Luce
Conducimi dalla morte
all'Immortalità
INTRODUZIONE AL SEMINARIO - Swami Venkatesananda
La conoscenza di cui abbiamo bisogno per
trovare la verità, il vero sé, la pace, è tutta lì, è già stata rivelata; quando
si ricevono delle indicazioni per arrivare ad un posto, è tutto chiaro e preciso,
ma poi ci rendiamo conto che queste non bastano: si ha bisogno dell’esperienza diretta, solo
allora tutto diventa chiaro. Nello stesso modo, nonostante tutto ciò che
sentiamo e leggiamo, la verità non è chiara e, se sembra chiara, si tratta solo
di un’illusione. C’è una bellissima espressione nella “Bhagavatam”:
“Anche
i grandi saggi e i santi si riuniscono frequentemente, senza alcuna
considerazione riguardo la superiorità dell’uno verso l’altro, e si ricordano
l’un l’altro della verità”.
Certo, possiamo anche pensare per conto
nostro alla verità, a degli insegnamenti, possiamo leggere dei libri, ma
nessuna di queste cose ha la stessa efficacia del sentirlo da un altro.
Esponiamoci a vari insegnamenti di
diversi maestri, eliminiamo ogni pregiudizio. Rendiamoci conto che tutti questi
grandi uomini: Gesù, Buddha, Mosè, Krishna e altri si sono sforzati alla
ricerca della stessa verità, della stessa meta, anche se questa è stata
espressa in diversi modi.
Potete chiamare questa meta: libertà
dalla tristezza, libertà dalla paura, pace suprema, potete chiamarla nirvana, mokhșa, salvezza, coscienza
cosmica; in definitiva, tutte queste parole vogliono dire esattamente la stessa
cosa, senza alcuna differenza, eccetto il modo di scriverle e pronunciarle.
Per rendere questo messaggio più vivo, ho
messo insieme dei libri, raccogliendo e traducendo da queste scritture. “Venkatesananda Yoga” non è niente di
nuovo, niente di speciale, eccetto il fatto che è quello che ho appreso dal mio
Guru Swami Sivananda.
Swami Sivananda ci disse che la salvezza
è dentro di noi, che nessuno può porgercela. Se la salvezza è dentro di noi, se
il “regno di dio è dentro di noi”, se
la strada è dentro di noi, allora perché
non siamo consapevoli di questa salvezza?
- Questo è il problema principale.
Quali
sono gli ostacoli, cosa ostruisce la visione della verità? Come eliminare
questi ostacoli? Questo è il tema dei discorsi che terremo nei prossimi giorni.
Lo
yoga non crea né produce qualcosa, ma rivela quello che già esiste: ricordate
questo fatto perché è fondamentale. Una cosa che è prodotta deve scomparire,
tutti noi che siamo nati dobbiamo morire; un edificio che è costruito, alla
fine sarà abbattuto: forse a causa di un agente umano, forse a causa di un
altro agente. Che cosa resterà? Solo
quello che non è stato prodotto. Tutto il resto, tutte le “creature” sono
soggette a cambiamento; perciò lo yoga non è un tentativo di creare qualcosa di
nuovo, perché anche questa, a sua volta, finirebbe.
Guardando
però ai manifesti pubblicitari sullo yoga, vi accorgete che gli yogi proclamano
alcune cose: a) avrai un’ottima salute, b) avrai la pace mentale, c) troverai
la felicità eterna, d) otterrai la realizzazione cosmica.
Tutte
queste cose sono vere, perfettamente vere; ma lo yoga non crea alcuna di queste cose. Se la realizzazione cosmica è creata,
essa deve anche venire alla sua fine. Se la felicità è prodotta, deve anche
finire. Se la pace è ottenuta mettendo delle cose insieme, deve anch’essa
finire. Se è così, questo yoga non è di alcun aiuto, ma è piuttosto pericoloso.
In
una situazione diversa, nelle antiche epiche e leggende in sanscrito, ci sono
delle espressioni che ora accenno solamente. In un racconto un giovane è
bandito dalla propria terra e la madre piange e grida: “Sarebbe stato meglio non
avere avuto per niente un figlio, che averlo e vederselo portato via!” In un
altro famoso racconto, un figlio nasce in una famiglia dopo tante difficoltà,
ma poi crescendo dimostra di essere crudele e pieno di vizi; anche qui i
genitori affermano che sarebbe stato meglio non avere avuto quel figlio: non
avrebbero avuto quel problema.
E’
meglio allora essere infelici dalla nascita alla morte o è meglio provare
grande felicità e poi vedere il tutto cadere?
Probabilmente
il primo caso è il migliore: non sai proprio nulla e sei spensierato,
soddisfatto nella tua infelicità. Se dunque lo yoga promette di “darti” la
felicità, di “creare” per te la felicità, allora per favore ricorda che quella gratificazione
è soggetta a disfacimento, è soggetta ad una fine, e questa sarà la cosa più tragica;
ma non è quello lo scopo dello yoga.
E’
ripetuto continuamente, senza tregua, in tutti i testi di yoga, anche negli “Yoga Sutra” di Patanjali, che tutto ciò
che facciamo in nome delle pratiche yoga: āsana,
prānāyāma, meditazione, satsang, studio, incluso la più alta
forma di meditazione, tutto ciò ha come unico scopo quello di rimuovere,
eliminare gli ostacoli, le impurità.
Patanjali
dà una bellissima lezione a proposito, affermando che lo yogi si comporta precisamente
come fa un giardiniere. Il giardiniere
non crea un fiore, non può farlo; eppure, senza il giardiniere quel fiore non si
ottiene. Se si afferra un po’ questo messaggio, allora ci si rende conto di un
genere di “importanza” che non è decisiva.
Un uomo e una donna non possono creare un bambino, ma senza questa coppia, il
bambino non è neanche concepito! E’ un
doppio negativo. Allo stesso modo, il guru non ti dà la realizzazione del sé,
ma, senza il guru, non puoi ottenerla. Non è detto che studiando le scritture,
mantenendoti le narici o sedendoti in meditazione otterrai la realizzazione, ma
senza queste pratiche, non la otterrai ugualmente.
C’è
una certa “importanza”... ma … tutte queste pratiche yoga, in altre parole,
“preparano il terreno” ed eliminano gli ostacoli per la crescita della pianta.
Questo
è detto molto chiaramente negli “Yoga
Sutra”, nella “Bhagavad Gita” e
altrove. Quando gli ostacoli sono rimossi, ciò che già esiste è “realizzato”.
“Realizzato”: il reale è reale anche ora, ma ... per me non è reale. Allora, quando lo yoga si manifesta
spontaneamente, “il reale è”. Lo è, e
solo il reale è. Senza ombra di dubbio,
sai che ciò che è reale è reale, non perché tenti di indovinare. Non è come a
Carnevale, che un ragazzo si mette una gonna, tu lo vedi passare per la strada
e dici: “Oh, che bella ragazza! ... Ma è una ragazza o un ragazzo?” Non sei
sicuro, ma che tu sia un ragazzo o una ragazza, non c’è dubbio; almeno tu non
hai alcun dubbio. Questo vuol dire
realizzare. Nel primo caso tentavi di
indovinare: “È possibile che ciò che è conosciuto come realtà esista”, nel
secondo caso, sai quello che è e che solo il reale è. Quello che è reale,
stranamente “diventa” reale, ma non nel senso che non lo fosse già da prima.
Era sempre vero ma ... oh, sfortunatamente non lo sapevo, come avviene nel
sonno. Nel sonno non sai se sei un uomo o una donna, ma nel sonno c’era l’inconsapevolezza
e quando quell’incoscienza viene rimossa, la realtà si realizza.
Rimuovere
gli ostacoli, le ostruzioni è il compito dello yoga: se non hai capito questo,
allora stai praticando lo yoga in maniera confusa, quasi inutilmente. Questo è
vero a tutti i livelli. Hai una vista buona ma insufficiente, allora vai da un
oculista e lui ti prescrive gli occhiali. Gli occhiali ti sono di aiuto perché
la vista c’é ancora. Se invece una persona non vede per niente, quali potenti
occhiali possono essergli d’aiuto? La
vista è andata via, allora che occhiali puoi mettere?
La
salute è già lì nel corpo, ma è coperta da sostanze tossiche; lo hatha yoga
rimuove queste sostanze tossiche e la salute si manifesta, si realizza. Questa
è una cosa molto importante da ricordare, altrimenti può darsi che ci mettiamo
a provare ogni sorta di cose strane. Il corpo è qualcosa che è stato creato: è
nato in tale data e arriverà anche alla sua fine. Se devo morire tra un’ora,
pensate che forse mettendomi in sirsāsana
possa vivere per altri dieci giorni? No, anzi morirò ancora più
velocemente! Solo se c’è vita sarai
vivo; un po’ più vitale se elimini le sostanze tossiche. Tutte le āsana yoga,
ecc. dipendono interamente da quella vitalità, da qualcosa di non conoscibile
chiamato “vita”. Nessuno sa e tutte le
teorie possono solo essere speculative: questa pratica prolungherà la mia vita?
Forse sì, forse no.
Il
corpo ha la salute, ma delle sostanze tossiche: alcool, sigarette, nicotina... vi
hanno creato della tossicità.
Praticando
le āsana yoga, il prānāyāma, mangiando il tipo giusto di cibo e così via, la
tossicità può essere eliminata. Prolungherà la vita? ... Forse. Mentre pratichi, pensi che ti prolungherà la
vita, ma una volta che sei morto, non ci sarà nessuno cui potrai chiedere! Queste
sono tutte affermazioni assurde e se ti basi su di esse, probabilmente sarai
scosso più spesso; cominci a preoccuparti: “Come mai tale grande yoghi che
praticò lo yoga per tutta la vita, è morto così giovane? Aveva solo
cinquantadue anni...”. Per vostra informazione, la maggior parte dei grandi
santi è morta giovane, prima dei cinquant’anni.
Tutto
ciò che lo yoga riesce a fare è togliere la tossicità dal corpo e farti essere quello che sei. Ecco!
Riportarti al tuo stato naturale!
Non
cambierà il colore dei tuoi capelli: se sei biondo, ci resterai. Non cambierà
la forma della tua faccia; se continui a stare a testa in giù non
otterrai certo una testa tonda!!
Lo yoga ti riporta al tuo stato
naturale. Lo stesso avviene per la mente. C’è dell’inquietudine: il prānāyāma, la
meditazione, eliminano l’inquietudine e ti riportano allo stato naturale... lo
stato naturale è pace. Alcune persone sono nate con una certa natura
che a te sembra inquieta, ma esse in realtà non sono agitate. Una cosa è chiara:
in quello stato non c’è dubbio, non esiste confusione. Una persona può nascere
con un temperamento dinamico: continuerà ad avere tale temperamento; una
persona può nascere con un temperamento introverso, continuerà a essere
introverso, ma in entrambi i casi non ci sarà confusione. La confusione nasce
quando, dalle parole del verso 30 del primo capitolo degli Yoga Sutra:
“O
non hai trovato una base salda nella vita interiore, o l’hai trovata, ma ti
scivola via per mancanza di fermezza nel seguire la ricerca”.
In entrambi
i casi c’è confusione o ignoranza e la tossicità a ogni livello, sorge proprio
da quest’ignoranza (avidya). Se tale
piccolo messaggio è chiaro, allora, tornando allo studio del sutra trenta del primo capitolo, capirai
il tutto chiaramente.
Questi
sono gli ostacoli (antarāyā) dice Patanjali,
dopo averne dato una lunga lista; essi sono ostacoli perché producono
agitazione, inquietudine, disturbo alla mente.
C’è uno
stato chiamato “citta vikṣepā”, che significa “mente non ferma”. Quando la mente non è ferma,
c’è confusione. La mente può essere molto attiva ma ferma, controllata: la
fiamma di una candela forma migliaia di scintille in ogni secondo, ma è ferma,
costante, continua.
Una
persona dinamica, che può anche sembrare agitata, può
essere perfettamente controllata dentro di sé.
Questo non
è per niente un ostacolo! E’ la sua
natura! Questa ragazza cammina col
passo lungo, l’altra con un’andatura veloce: l’una non deve imitare l’altra, né
viceversa. Perché dovrebbe? A qualcuno che dalla finestra guarda queste
due ragazze che si allontanano camminando, può sembrare che l’una cammini con
grande pace e che l’altra sia inquieta. Non è così! In se stessa, ciascuna è indisturbata! La parola “disturbato” è molto interessante.
“dis-turbato”: turbolenza e anche
torbidità. L’acqua è già fangosa, se la disturbi diventa ancora più torbida:
ora non riesci a vedere più niente in essa.
Qualunque
sia la tua natura: dinamica, apparentemente inquieta, pacifica, introversa, se c’e’ chiarezza interiore, stai bene.
Se
questa non esiste, allora c’è turbamento interiore nei due sensi: turbolenza e
torbidità. Quando questi due fattori
sono lì insieme, non c’è chiarezza, non c’è comprensione: questo è l’ostacolo. L’equazione
può essere letta dall’altro lato: qualunque cosa porti tale stato è da
considerarsi un ostacolo.
Vi do di
nuovo un’illustrazione un po’ cruda per considerare due tipi di mente: posso
darvi l’esempio di due swami che conobbi molto, molto bene. Uno era di temperamento molto devoto, nobile,
direi quasi illuminato, ma doveva esplodere come un vulcano ogni uno o due
mesi; a parte questo era calmo e mite. Se lo contraddicevi o iniziavi a
dibatterti con lui... uh! Ti riduceva in frantumi, ma era miele, era dolcezza,
era bontà. L’altro swami non litigava
quasi mai con nessuno, ma se lo faceva, tornava in camera sua tremante e stava
male, tanto da non riuscire a dormire.
In poche
parole, semplificando al massimo, una persona si ammala se non esplode, l’altra
si ammala se lo fa! Noi non siamo i
giudici, non sappiamo cosa sta succedendo e come. Tu ed io non possiamo giudicare queste cose:
è una perdita di tempo. L’uno è lo stato
naturale del primo, l’altro è lo stato naturale del secondo: TROVA IL TUO STATO NATURALE! In quello stato naturale non c’è confusione,
non c’è disturbo.
Un altro
esempio che posso darvi riguarda un altro grande amico di Swami Sivananda il
quale era un generale dell’esercito indiano, un generale combattente. Lui stesso mi raccontava che, mentre la
guerra era in atto, con le pallottole che volavano intorno, riusciva a sedersi
e meditare. Era forse una persona tanto
calma o pigra? Assolutamente no: se s’innervosiva
con te, poteva anche tagliarti la testa come niente fosse. Nella battaglia
combatteva furiosamente, ma senza perdere il suo equilibrio interiore, che solo
lui conosce o solo Dio lo sa, noi no.
Non possiamo giudicare dalle apparenze esteriori.
“Citta vikṣepās te antarāyāḥ” (Yoga Sutra 1,30)
Questi
provocano torbidità e disturbo nella sostanza mentale e perciò sono
ostacoli. Se consideriamo una grande
personalità come lo era Swami Sivananda, era affetto da una miriade di quelle
che noi chiamiamo malattie; se tali malattie non intaccano il suo equilibrio
interiore, non sono degli ostacoli. Non
ha senso chiedere: “Era un grande yogi, perché aveva il diabete?” E’ il suo
stato naturale, non preoccuparti, non disturba il suo equilibrio mentale,
perciò va bene.
Come si
riconosce l’esistenza di questi ostacoli?
Ci poniamo la domanda perché non è per niente facile discernere. Se si generalizza, si è condotti in un tipo o
l’altro di trappola. Il sutra successivo dà delle indicazioni
sul manifestarsi di questo problema e su come riconoscere gli ostacoli.
duḥkha daurmanasyā ‘ṅgam ejayatva
śvāsa praśvāsā vikșepa
saha bhuvaḥ (1,31)
Alcuni
accenni sono dati. Comincerò al
contrario, in modo da avere la parte più importante per il nostro discorso,
alla fine.
1) Se
osservi la tua respirazione, puoi imparare moltissimo sul tuo stato
mentale. Il tuo stato mentale è
direttamente riflesso dal modo in cui respiri – l’osservazione stessa di come
respiri può essere prānāyāma.
2) Il movimento
non necessario del corpo è indicazione che la mente non è ferma. Per addestrare il corpo a non muoversi
inutilmente, si praticano le āsana
(posizioni) di yoga.
3) “Daurmanasyā” indica mente in cattivo
stato: cattivo umore o pensieri cattivi.
4) “Duḥkha” è infelicità: penso che questo
sia il nostro problema principale. La sua controparte è “suḥkha” che vuol dire felicità.
Suḥkha e duḥkha sono composte ciascuna di due sillabe in cui “kha” vuol dire
“spazio”. In questo caso non si tratta di spazio fisico ma psicologico. Intorno
ad ognuno di noi c’è uno spazio psicologico; esso può essere sano, pericoloso o
non del tutto sano. Dipende da noi riempire questo spazio con qualcosa di buono
o con qualcosa di cattivo.
Per l’uomo illuminato, invece, la
visione del mondo è diversa:
Se questo è il mondo in cui noi
viviamo, in esso noi siamo tanti punti. Il punto è un’entità che non ha
dimensione. Considerando ciò, non possiamo prendere un punto e dargli una
dimensione; i punti si possono ignorare: allora c’è unità totale. Allora solo
lo spazio è: non è né spazio buono né spazio cattivo, ma solo spazio. L’uomo
illuminato è quindi andato oltre il problema di felicità e d’infelicità.
Un’altra persona pensa di essere infelice a causa di questo spazio che è
formato dall’ego, dal pensiero.
Se si potesse eliminare quello
spazio tra noi due e avvicinarsi che cosa succederebbe? ... Ora sono sposati: sembra che quello spazio
dove l’infelicità poteva sorgere sia stato abolito...oh, bene!
Questo può continuare; essi
possono avere dei figli o creare un gruppo, una chiesa, un centro yoga, ecc..
Ma, ogni volta che c’è un’espansione, è solo l’ego che espande, creando uno
spazio sempre più grande d’infelicità o di una qualsiasi altra modificazione
mentale. L’ego non è abolito ma è restato lì creando il suo proprio spazio.
Quando un ego e un altro ego sono separati, allora c’è uno spazio intorno a
ciascuno che sembra dare a ognuno una certa quantità di libertà; ma quella
libertà non può essere assoluta: alla fine deve venire in una situazione di
conflitto. Quando cerchi di risolvere un
problema entrando in un rapporto, (qualsiasi relazione: marito-moglie,
padre-figlio, guru-discepolo) sembra che tra voi due il problema dello spazio
psicologico sia risolto. Un’espressione
del genere ci è data da Rut nella Bibbia:
“...
il tuo popolo sarà il mio popolo, il tuo dio sarà il mio dio; dove tu morrai
morrò anch’io...” (Rut 1,16)
E’ come dire: la tua felicità
sarà la mia felicità, la tua gioia sarà la mia gioia, la tua infelicità sarà la
mia infelicità. Va bene; anche se ciò è possibile, non è una soluzione completa
al problema della tristezza, dell’infelicità. Pensi che sia andata via, invece
non è così.
L’ego si è espanso a inviluppare
l’altra persona, ma l’ego di uno non può completamente sciogliersi, perdersi
nell’ego di un altro: benché i due pensino di essere uno, ciascuno lo pensa a
suo modo, in modo diverso dall’altro, dunque, già qui c’è un problema. Possiamo
risolvere questo problema allontanandoci di nuovo l’uno dall’altro?
No! Perché allora ci ricreiamo il nostro spazio
intorno a noi, e riempiamo quello spazio con ogni sorta d’idee, immagini,
problemi, anche se in un certo senso, questo può essere meglio che scontrarsi in
continuazione.
Cos’è che crea questo spazio
intorno a noi? E’ il pensiero. Il pensiero è spazio. Come lo sai?
Esaminando lo stato del sonno.
Patanjali dedica un sutra completo a questo. “Contempla lo stato del sonno e del sogno”.
Nel sogno gli oggetti e i personaggi stessi del sogno, che sono tutti dentro di te, sembrano
moltiplicarsi e ognuno sembra essere un ego indipendente, benché in realtà,
essi non siano indipendenti neanche da chi sogna. Nel sonno, invece, non c’è spazio psicologico
o, forse, c’è solo spazio, ma non c’è pensiero.
Finché non raggiungiamo questo stato in cui l’identità dell’ego è
ricercata e l’ignoranza concernente l’ego è totalmente dispersa, non sembra
esserci alcun’altra strada.
Finché la mente non è ferma, essa
creerà dello spazio tra me e voi o tra noi tutti insieme ed altri. Finché la
mente non è ferma, si entrerà in qualche relazione, quando ci sono due spazi
diversi che vengono in collisione, c’è problema, e tale collisione non può
essere attutita “sigillando” quella relazione, assegnandogli un nome, no, no!
Tu sei ancora tu, io sono ancora
io. Noi insieme possiamo formare una coesione per battere qualche altro: ma “duḥkha” è ancora lì, perché la mente
non è ferma.
Perché la mente non è ferma?
Perché la mente non è ferma?
La
sua sorgente non e’ stata ricercata, non e’ stata scoperta. La sua sorgente è
quel punto che, pur non avendo dimensioni, ad un certo momento ha
assunto una dimensione. L’ego che non ha dimensione, ha assunto una
dimensione - quando questo avviene, allora
immediatamente entra in una relazione. Tale relazione non può essere né abolita
né rinforzata per risolvere il problema. La saggezza è invece nell'inchiesta
sulla radice di questa relazione, che è l’ego.
Se l'ego è scoperto essere
esistente come un punto nello spazio,
allora troverai che lo spazio è, e
non può essere inquinato. Realizzi che non può esserci davvero né felicità né infelicità e quello stato è chiamato
“beatitudine”.
Se non scopriamo questa verità e
insistiamo nel perseguire quella che noi chiamiamo felicità, continuiamo a creare uno spazio intorno a noi, che cerchiamo di riempire di felicità - o almeno, di quelle cose che noi pensiamo sia felicità, e ‘godiamo’ di una frustrazione senza fine!
Ecco quindi l’essenza dello yoga:
può questo ego o “io”, che è stato assunto come esistente e al quale è stata
data una certa dimensione (mentre non è altro che un punto nello spazio),
essere ricercato? Possiamo guardarlo?
Possiamo eliminare tutti gli ostacoli a questa ricerca, a questa
osservazione? Può esserci chiarezza in questa
visione?
Quando la sorgente dello spazio dell'ego, del pensiero è trovata e realizzata, l’ego non
c’è più; e non c’è più un correre dietro la felicità. Quando noi non corriamo dietro alla felicità, è questa che corre dietro a
noi.