Dasura, Khottha. Il canto di Kacha

10  La storia di Dasura

‘Nel paese conosciuto come Magadha che aveva abbondanza di giardini di piacere, viveva un saggio di nome Dasura.
Era un grande asceta impegnato in stupefacenti austerità, non aveva alcun interesse nei piaceri del mondo ed era anche erudito. Era il figlio di un altro saggio, Saraloma, ma come volle la sfortuna, perse entrambi i suoi genitori quando era giovane.
Le divinità della foresta ebbero pietà di questo orfano, che era inconsolabile nella sua angoscia e gli dissero: ‘Saggio ragazzo, sei il figlio di un santo, perché piangi come uno sciocco ignorante, non conosci la natura evanescente di questa apparizione del mondo? Ragazzo, tale è la natura di questo mondo: le cose entrano in esistenza, esistono per un po’ e poi vengono distrutte. Qualunque essere appaia esistere dal punto di vista relativo, anche se è chiamato Brahma, il Creatore, è soggetto a questa inevitabile fine, non c’è dubbio su ciò. Perciò non ti angosciare per l’inevitabile morte dei tuoi genitori.
Il dolore del giovane diminuì, così si alzò ed eseguì i riti funebri dei suoi genitori, poi cominciò a condurre una vita rigorosamente religiosa e costellata di regole e divieti. Poiché non aveva ancora realizzato la Verità, era immerso nell’esecuzione di rituali con tutte le loro ingiunzioni e proibizioni; tutto questo creò in lui il sentimento che l’intero mondo è pieno di impurità. Cercò di vivere in un luogo non inquinato: la cima di un albero, decise.
Desiderando realizzare il desiderio di vivere sulla cima di un albero, eseguì un sacro rito, durante il quale tagliò e offrì la sua propria carne nel fuoco sacrificale. Presto la divinità del fuoco gli apparve e annunciò: sicuramente conseguirai il desiderio che è già sorto nel tuo cuore.
Il saggio allora vide di fronte a sé un enorme albero Kadamba che aveva un maestoso aspetto e sembrava spazzare con le sue foglie, come fossero dita, le lacrime, cioè le gocce di pioggia del cielo. Aveva effettivamente coperto lo spazio fra la terra e il cielo con migliaia dei suoi rami (le sue braccia) e si ergeva come la forma cosmica del Signore, con il sole e la luna come occhi. Carico di fiori li faceva piovere sui saggi e sugli esseri divini che attraversavano il cielo e le api che dimoravano in esso cantavano loro una canzone di benvenuto.
Il saggio salì su quest’albero, che si ergeva come una colonna che collegava il cielo e la terra. Sedette sul ramo più alto. Per un breve momento lasciò che i suoi occhi si aggirassero in tutte le direzioni. Ebbe una visione dell’Essere Cosmico. Poiché aveva preso dimora sull’albero Kadamba, era conosciuto come Kadamba-Dasura.
Era stato abituato ai riti descritti nei Veda e così s’impegnò nella loro esecuzione, questa volta mentalmente. Tuttavia, tale è il potere di tale esecuzione mentale, che purificò la mente e il cuore dell’asceta ed egli conseguì la pura saggezza. Un giorno scorse di fronte a sé una ninfa rivestita di fiori, estremamente bella.
Il saggio le chiese. ‘0 bella fanciulla, con il tuo splendore puoi sopraffare perfino Kama (il Dio dell’amore), chi sei?’.
Ella rispose: ‘Sono una divinità della foresta. In questo mondo nulla è inconseguibile per colui che ricorre alla presenza di un saggio illuminato come te. Ho appena partecipato a una festa nella foresta, dove ho incontrato altre divinità, ognuna con la sua prole. Io sono l’unica tra esse che non ha figli, perciò sono infelice. Ma, avendo incontrato te, perché dovrei rimanere tale? Concedimi un figlio, o mi ridurrò in cenere.’
Il saggio raccolse un rampicante e consegnandoglielo disse: ‘Vai, proprio come questo rampicante produrrà fiori in un mese, anche tu darai nascita ad un figlio.’
La dea, grata, se ne andò. Dopo 12 anni ritornò con il figlio di quell’età. Disse: ‘Signore, questo è tuo figlio e l’ho istruito in tutti i rami del sapere, ti prego di istruirlo nella conoscenza del Sé, poiché, chi lascerà che suo figlio diventi uno sciocco!
Il saggio accettò e la dea se ne andò.
Vasistha continuò: “Durante questo periodo, io stesso stavo andando in quel luogo e udii le istruzioni del saggio a suo figlio. Dasura disse: ‘Ti illustrerò ciò che desidero dire riguardo a questo mondo con una storia: c’è un potente re chiamato Khottha, capace di conquistare i tre mondi.


La storia di Khottha

Le divinità che presiedono ai mondi, onorano fedelmente i suoi comandi. Nessuno può nemmeno catalogare le sue innumerevoli azioni che hanno prodotto sia felicità che infelicità. Il suo valore non ha potuto essere sfidato da nessuno, con nessuna arma, nemmeno col fuoco, non più di quanto uno possa colpire lo spazio con un pugno. Persino Indra, Vishnu e Shiva non poterono uguagliarlo nelle sue imprese.
Questo re aveva tre corpi che avevano completamente abbracciato i mondi, ed essi erano rispettivamente il migliore, il mediano e il peggiore. Questo re sorse nello spazio e si stabilì nello spazio, là costruì una città con quattordici strade e tre settori, in essa c’erano giardini di piacere, bei picchi montuosi e sette laghi con perle e rampicanti.
C’erano due luci, calde e fredde e quelle luci non diminuivano mai. In quella città, il re creò parecchi tipi di esseri: alcuni erano posti di sopra; altri nel mezzo e altri al di sotto, alcuni avevano lunga vita, altri breve.
Tutto questo fu creato da maya o dal potere illusorio del re. Qui il re si divertì con tutti i fantasmi che temevano l’indagine e che erano stati creati per proteggere le dimore dei differenti corpi.
Quando decide di muoversi, pensa ad una città futura e contempla il migrare in essa, quindi, circondato dai fantasmi, corre velocemente nella nuova dimora dopo aver lasciato la precedente e occupa la nuova città costruita come una creazione magica. Ancora, là, contempla la distruzione e si distrugge.
Qualche volta si lamenta: ‘cosa farò, sono ignorante, sono miserabile’, qualche volta è felice, qualche volta è da compatire. Così egli vive e conquista, va, cammina, prospera, risplende e non risplende.
‘Figlio mio, così questa re è sballottato in questo oceano dell’apparizione del mondo’.
Dasura continuò: ‘In questo modo è stata illustrata la creazione dell’universo e dell’uomo. Khottha, che sorse nel grande vuoto, non è null’altro che una nozione o un’intenzione che vi sorse spontaneamente e che, ancora spontaneamente, nel grande vuoto si dissolve.
L’intero universo e qualunque cosa ci sia in esso è la creazione di questa nozione o intenzione (sankalpa) e null’altro. In effetti, persino la trinità, Brahma, Vishnu e Shiva, sono gli arti di quella nozione. Quell’intenzione soltanto è responsabile della creazione dei sette mondi, delle quattordici regioni e dei sette oceani. La città costruita dal re non è null’altro che l’entità vivente con i suoi diversi organi e le loro caratteristiche.
Dei differenti tipi di esseri, alcuni, gli dei, sono in una regione superiore e gli altri, in una regione inferiore. Avendo costruito questa città immaginaria, il re la pose sotto la guida dei fantasmi, che sono i vari ego, gli Ahamkara. Il re da allora giocò attraverso questo corpo.
Un momento vede il mondo in uno stato di veglia, in un altro sposta l’attenzione al mondo interiore che gioisce nei sogni. Si sposta da una città all’altra, da un corpo ad un altro, da un regno all’altro.
Un momento sembra gioire la saggezza, mentre quello successivo viene afferrato nella ricerca dei piaceri e in un istante la sua comprensione viene pervertita, come nel caso di un bambino. Dopo molte peregrinazioni simili sviluppa la saggezza, diventa disilluso del mondo e dei suoi piaceri e raggiunge la fine dei suoi vagabondaggi con la cessazione di tutte le nozioni.
Queste nozioni sono come densa oscurità (tamas) e danno origine ad ignoranza e a nascite in ordini inferiori della creazione, oppure sono trasparenti (sattva) e danno origine a saggezza e si avvicinano alla verità o impure (rajas) e danno origine alla mondanità. Quando tutte queste nozioni cessano c’è la liberazione. Anche se ci si impegna in ogni tipo di sforzo spirituale, anche se si hanno gli dei stessi come insegnanti, anche se ci si trova in cielo, la liberazione non si ha eccetto che attraverso la cessazione di tutte le nozioni, i Samkalpa (idee, volizioni, concetti, che hanno come base quella dell'individualità separata, soggetto contrapposto ad oggetto).
Il reale, l’irreale e il loro mischiarsi, sono soltanto nozioni e nient’altro; le nozioni stesse non sono né reali, né irreali.
Che cosa chiameremo reale, allora, in questo universo? Perciò, figlio mio, abbandona queste nozioni, questi pensieri e intenzioni. Quando essi cessano, la mente naturalmente si dirige a ciò che in realtà è al di là della mente: la Coscienza Infinita”.
Il giovane chiese: “Padre, dimmi, come sorse questo Samkalpa, come cresce e come cessa”. Dasura rispose: “Figlio mio, quando nella Coscienza Infinita, la Coscienza stessa diventa consapevole di Se come il proprio oggetto, allora c’è il seme della ideazione. Questo è molto sottile, ma presto diventa grossolano e riempie, per modo di dire, lo spazio.
Quando la Coscienza è coinvolta in questa ideazione, pensa che l’oggetto sia distinto dal soggetto. Allora l’ideazione comincia a germogliare e a crescere. Essa si moltiplica naturalmente da sola. Questo conduce al dolore, non alla felicità. Non c’è causa per il dolore in questo mondo al di fuori di questa ideazione. Questa ideazione o nozione, in realtà è venuta in esistenza per mera coincidenza, proprio come il corvo che atterra sulla palma e il frutto cade a terra senza alcuna connessione, se non apparente.
Ma questa non-sostanza, irreale, è tuttavia, capace di crescere. La tua nascita, perciò è irreale. La tua esistenza è anch’essa irreale. Quando conoscerai questo e lo realizzerai, la irrealtà cesserà. Non intrattenere nozioni, idee, non aggrapparti nemmeno al concetto della tua esistenza, poiché è da questo che viene ad essere il futuro.
Quando, quindi, tutte le nozioni cessano, c’è grande pace e il dolore è sradicato dalla sua stessa radice, poiché ogni cosa in questo universo è solo un idea, una nozione, un concetto, anche se ha nomi diversi come mente, anima vivente o Jiva, intelligenza, condizionamento.
Non ci sono reali sostanze che corrispondano a queste parole, perciò rimuovi tutti i pensieri, non sprecare la tua vita e sforzati di dirigerla, verso altre imprese.
Già con l’indebolirsi delle nozioni si è meno affetti dall’infelicità e dalla felicità e la conoscenza dell’irrealtà degli oggetti previene l’attaccamento.
Non è possibile comprendere le onde dell’ideazione, ma si può dire questo: le esperienze sensoriali le moltiplicano e quando vengono abbandonate, cessano.
Se queste nozioni fossero reali, come il nero nel carbone, allora non potresti rimuoverle, ma non è così, perciò possono essere distrutte.
Vasistha continuò: “Udendo le parole del saggio, scesi su quell’albero Kadamba. Per un tempo considerevole, noi tre discutemmo la conoscenza del Sé e io li risvegliai alla Suprema Conoscenza, poi presi congedo e me ne andai. 0 Rama, questo è inteso ad illustrare la natura dell’apparizione del mondo. Perciò questa storia è vera quanto il mondo stesso. Persino se il mondo e gli oggetti fossero reali non c’è ragione per cui il Sé conscio insegua gli oggetti inerti! (Il loro valore è solo immaginazione che sorge nel Sé il quale non può guadagnare nulla che possa essere superiore a ciò che Ha o che È.) Se invece gli oggetti sono irreali, allora ne può risultare solo infelicità! Abbandona perciò i desideri del tuo cuore.
La lampada non ha intenzione di risplendere. Allo stesso modo, il Sé non intende fare nulla, tuttavia ogni cosa accade in Sua presenza.
Puoi adottare l’una o l’altra delle due attitudini. ‘Sono l’Essere Onnipresente che non fa nulla’; oppure: ‘Sono l’agente di tutte le azioni di questo mondo’. In entrambi i casi arriverai allo stesso stato di perfetta equanimità che è l’immortalità. Sarai libero da attrazioni e repulsioni, da piacere e dispiacere. Sarai libero dagli sciocchi sentimenti del tipo: ‘Qualcuno mi ha servito’ o ‘Qualcun altro mi ha ferito’.
Perciò Rama, puoi sentire ‘io non sono l’agente, non esisto’ o ‘sono l’agente e sono tutto’, o indagare sulla natura del Sé e realizzare ‘Io non sono nulla di quello che mi viene attribuito’. Riposa stabilito nel Sé che è il più alto stato di coscienza in cui i migliori tra i santi, che conoscono questo, dimorano sempre. Abbandona tutte le nozioni, persino quella della liberazione.
Innanzitutto, per mezzo della coltivazione di buone relazioni come l’amicizia, abbandona tendenze e nozioni grossolane e materialistiche. Più tardi abbandona anche questa nozione di amicizia, pur continuando ad essere amichevole, ecc. Abbandona ogni desiderio e contempla la natura della Coscienza Cosmica. Persino questo è all’interno del regno dell’ideazione o pensiero. Perciò, a tempo debito, abbandona anche questo. Riposa in Quello che rimane dopo che tutto questo è stato abbandonato e rinuncia anche a colui che rinuncia alle nozioni.
Quando persino la nozione del senso dell’ego è cessata, sarai come lo spazio infinito. Colui che ha così rinunciato ad ogni cosa nel suo cuore, è invero il Supremo Signore, sia che continui a vivere una vita attiva o che riposi sempre in contemplazione. Per lui, né l’azione, né l’inazione è di alcuna utilità.
0 Rama ho esaminato tutte le scritture, ho investigato sulla Verità: non c’è salvezza senza la totale rinuncia a tutte le nozioni, idee o condizionamenti mentali. Questo mondo dai diversi nomi o forme è composto dal desiderabile e dall’indesiderabile. Per questo le persone si sforzano, ma per la conoscenza del Sé, nessuno si sforza. Nei tre mondi, rari sono i saggi che hanno questa conoscenza.
Vasistha continuò: “A questo proposito, o Rama, ricordo una ispirante canzone cantata dal figlio del precettore degli Dei, Kacha. Questo Kacha era stabilito nella conoscenza del Sé. Viveva in una caverna sul monte Meru. La sua mente era saturata dalla più alta saggezza e perciò non era attratto da nessuno degli oggetti del mondo composti dai cinque elementi. Fingendo disperazione Kacha cantò questo canto pieno di significato, ti prego ascoltalo.

Il canto di Kacha

“Che cosa farò, dove andrò, che cosa cercherò di afferrare, a che cosa rinuncerò, questo intero universo è permeato dall’unico Sé; infelicità o dolore è il Sé, felicità è ancora il Sé, poiché tutti i desideri sono un vuoto senza profondità. Avendo conosciuto che tutto questo è il Sé, sono liberato da ogni travaglio. In questo corpo, all’interno o all’esterno, sopra o sotto, ovunque, c’è soltanto il Sé e non c’è il non Sé. Il Sé soltanto è ovunque, ogni cosa esiste nel Sé, tutto questo è veramente il Sé, io esisto nel Sé come il Sé, esisto come tutto questo, come la Realtà in tutto. Sono la Pienezza, sono la beatitudine del Sé, riempio l’intero universo come l’Oceano Cosmico.”
Così egli cantò e quindi intonò la sacra sillaba OM che risuonò come una campana. Si era fuso con l’intero essere in quel santo suono. Non era né all’interno di nulla, né all’esterno di nulla. Il saggio rimase così totalmente assorbito nel Sé.
Vasistha continuò: “Che cos’altro c’è in questo mondo, o Rama, eccetto che il mangiare, il bere, il sesso? Perciò, che cosa c’è in questo mondo che un saggio trovi degno di ricerca? Questo mondo dei cinque elementi e il corpo composto di carne, sangue, capelli e tutto il resto, sono considerati reali dall'ignorante ed esistono per il suo intrattenimento. Il saggio vede in tutto questo un impermanente ed irreale ma terribile veleno.
Rama chiese: “Con la distruzione di tutte le nozioni, quando la mente riguadagna lo stato del Creatore stesso, come vi sorge la nozione del mondo?”
Vasistha continuò: “Rama, il Primo Nato, il Creatore, nel sorgere nel grembo dell’Infinita Coscienza, pronunciò il suono Brahma, perciò è conosciuto come Brahma il Creatore. Questo Creatore innanzitutto intrattenne la nozione della luce e la luce venne in esistenza. In quella luce visualizzò il Suo Corpo Cosmico e questo venne in esistenza, dal brillante sole ai diversi oggetti che riempiono lo spazio. Contemplò la stessa luce come scintille infinite e tutte queste scintille divennero diversi esseri. Sicuramente è la Mente Cosmica soltanto che è diventato questo Brahma e tutti gli altri esseri.
Qualunque cosa Brahma abbia creato all’inizio, è vista persino oggi. Questo mondo irreale ha acquisito sostanza a causa della continuità della nozione della sua esistenza. Tutti gli esseri di questo universo la sostengono con le loro nozioni e idee. Dopo aver creato l’universo con la propria forza pensiero, il Creatore rifletté così: “Ho creato tutto questo per il potere di una piccola agitazione nella Mente Cosmica. Ne ho avuto abbastanza. Ora si perpetuerà da sola. Che io riposi.”
Contemplando così, Brahma il Creatore riposò nel suo stesso Sé, in profonda meditazione. Poi, per compassione degli esseri creati, il Creatore rivelò le scritture che trattano della conoscenza del Sé. Una volta ancora si assorbì nella conoscenza del suo stesso Sé, che è al di là di ogni concetto e descrizione. Questo invero è il più alto stato del Creatore, Brahmisthiti.
Da allora in poi gli esseri creati acquisirono il carattere delle cose con cui si associarono; associandosi con il buono divennero buoni e associandosi con il mondano divennero mondani. Così uno viene vincolato a questa apparizione del mondo e così ancora, ne viene liberato.
Vasistha continuò: “Questi esseri viventi che sorsero nell’oceano della Coscienza Infinita come onde ed increspature, entrarono nello spazio fisico e quando gli elementi come l’aria, il fuoco, l’acqua e la terra evolsero, essi ne vennero coinvolti. Allora il ciclo della nascita e della morte cominciò a girare. I jiva scesero come cavalcando i raggi della luna ed entrarono nelle piante e nelle erbe; divennero i frutti, per così dire, di quelle piante. I frutti vengono poi maturati dalla luce del sole, quindi sono pronti ad incarnarsi. Le sottili nozioni, idee e condizionamenti mentali sono presenti in forma sottile persino nell’essere non nato: alla nascita il velo che li copriva viene rimosso.
Alcuni di questi esseri nascono puri ed illuminati, sattvici; persino nella loro vita precedente si erano allontanati dall’allettamento dei piaceri dei sensi. Ma la natura degli altri, che sono nati semplicemente per perpetuare il ciclo della nascita e della morte, è un misto del puro, dell’impuro e del tenebroso. Ci sono altri la cui natura è pura con appena una leggera impurità: essi sono devoti alla verità e sono pieni di nobili qualità. Rare sono tali persone devote, che sono prive dell’oscurità dell’ignoranza. Altre persone sono avvolte dall’oscurità dell’ignoranza e dalla stupidità: sono come rocce e colline. Quegli esseri in cui la purezza è preponderante, con appena una leggera impurità, le persone sattviche-rajasiche, sono sempre felici, illuminate; non si angosciano né si disperano. Sono privi di egoismo come gli alberi e come loro essi vivono per sperimentare i frutti delle azioni passate senza produrne di nuove. Privi di desideri, in pace all’interno di se stessi, non abbandonano questa pace nemmeno nelle peggiori calamità. Amano tutti e guardano tutti con visione equanime; non affondano nell'oceano del dolore.
Con ogni mezzo uno dovrebbe evitare di affondare nell’oceano del dolore e impegnarsi nell’indagine e nella natura del Sé: ‘Chi sono io? Come è sorta questa illusione del mondo?’ Uno dovrebbe così abbandonare l’egoismo e l’attrazione del mondo. Allora realizzerà che non c’è divisione nello spazio, che ci sia o meno un edificio in quello spazio. La stessa Coscienza che risplende nel sole dimora anche nel piccolo verme che striscia su questa terra.”
Vasistha continuò: “ 0 Rama colui che è saggio e capace di indagare nella natura della verità dovrebbe avvicinare una persona buona ed erudita e studiare le Scritture. Con questo e con la pratica del grande yoga uno può raggiungere lo stato supremo.
0 Rama, vivi senza farti sviare da attrazioni e repulsioni, senza brame e costantemente cerca di scoprire la pace suprema come fanno i santi: è emulando l’ esempio dei santi che si progredisce verso lo stato supremo.
È per l’esercizio della propria saggezza che uno può ascendere allo stato di purezza e illuminazione, cioè il sattva. È solo per intenso sforzo personale che uno ottiene una buona incarnazione: non c’è null’altro che l’intenso sforzo. Non c’è nulla che l’intenso sforzo non possa raggiungere: con la pratica del bramacharia, cioè la continenza o la totale dedizione a Brahman, con il coraggio e la sopportazione, con il distacco e con la pratica intelligente basata sul buon senso si ottiene quello che si cerca di ottenere, la conoscenza del Sé. Rama, tu sei già un essere liberato: vivi come tale”.