Yoga Sutra, II, 02, 03


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Yoga Sutra, II. 3: "avidyā asmitā rāga dveşā abhiniveśāh kleśāh"

La mente è agitata a causa dei molti problemi irrisolti. Gli elementi che disturbano l'equilibrio mentale e generano così il dolore psichico sono:
  • 1. avidya: Ignoranza della verità concernente
  • 2. asmita: Il proprio sé o egotismo che nell'ignoranza sembra essere l'ovvia verità, e il credere nell'individualità separata,
  • 3,4. raga-dvesha: Estensione psicologica e innaturale di attrazione e repulsione che, come fenomeni neurologici sono naturali, e
  • 5. abhinivesha: Cieco aggrapparsi alla presente "vita" fisica, sorto dall'ignorante divisione dell'eternità senza tempo, in vita e morte.

Patanjali afferma che il mondo intero è pieno di dolore per una persona intelligente, fino al momento in cui questi non ha la realizzazione che la sua esperienza di dolore è dovuta al fatto di non sapere qual è il suo Sé, la sua vera identità l. Il dolore e la sofferenza non vengono da fuori, ma sono sperimentati dentro di sé; nessuno dentro o fuori di questo mondo, né un dio né un demone né una stella è responsabile della tua infelicità. L'infelicità è dentro di te; è un'esperienza tua.
Non è un evento in sé, che ti rende felice o infelice ma la tua reazione all'evento. Perché reagisci in quella maniera? Perché hai esperienza del dolore psicologico, della sofferenza e della tristezza?
Patanjali suggerisce una base composta di cinque cause di quest'infelicità: avidyā, asmitā, rāga, dveşā, abhiniveśāh, sono i cosiddetti kleśā.

Avidyā
Avidyā è l'inevitabile ignoranza della nostra natura spirituale, o l'assenza della conoscenza del Sé. L'ignoranza è una non-entità dal punto di vista psicologico (o assoluto), eppure è capace di risultati davvero reali e spaventosi mentre dura. E' simile, in qualche modo ad un incubo. Non è solo come l'oscurità della notte che vela la realtà ma è come il sogno illusorio che forgia delle false entità, le quali ottengono il privilegio di una momentanea esistenza. Qualunque affermazione si voglia fare, in positivo sull'ignoranza, è una cancellazione della sua vera natura.
L'assenza dell'ignoranza, a sua volta, non può essere facilmente compresa o conosciuta. Chi dice "Sono ignorante", è ignorante, ma chi dice "Non sono ignorante", lo è ancor di più! Qualcuno definì avidyā così: «La persona che afferma "Quello che dico io è giusto e quello che dicono tutti gli altri è sbagliato" è affetto da una grave forma d'ignoranza».
Non c'è assolutamente alcun modo in cui io possa venire a tu per tu con avidyā e comprenderla. Uno può percepire l'esistenza di avidyā, e 'comprenderne' la descrizione, ma non potrà mai sapere cos'è; o si è in uno stato di avidyā o si ha la conoscenza del Sé: nel momento in cui c'è la conoscenza del Sé non c'è più avidyā.

Asmitā
Torniamo all'esempio dell'onda e dell'oceano: l'onda è non-differente dall'oceano. L'intero volume d'acqua (con le increspature, le onde e le correnti) è l'oceano, un'unica massa indivisibile. La diversità sorge nella forma che l'acqua temporaneamente assume e nel nome che a quella forma viene dato.
Similmente, quando avidyā si manifesta, l'ignoranza è inconsapevole della natura cosmica dell'intelligenza e crea l'idea dell'individualità, il sentimento 'io sono' o asmitā. Asmitā significa letteralmente, l'individualità, l'idea stessa dell'io, il senso dell'ego o egotismo, non egoismo nel senso di vanità. Appena quest'idea di 'me' sorge, immediatamente crea il 'tu' e poi gli altri. Affermando ripetutamente quest'errore ha ottenuto lo status di verità. Il tutto era sorto dall'ignoranza (avidyā), che in qualche modo si manifesta nell'Essere Cosmico che è la Coscienza o l'Intelligenza Cosmica.
Il più che ci si può avvicinare ad asmitā è, quando sai di non capire! Se esaminiamo seriamente, notiamo che i problemi sono tutti direttamente in relazione al senso dell'ego, che pone etichette, classificazioni, giudizi e congetture. Qualunque affermazione facciamo, l'io è assunto come punto fisso di riferimento, in base al quale ci relazioniamo ad ogni cosa o evento: quest'assunzione dev'essere messa in discussione.
Gli occhi guardano un oggetto, ad esempio la carta e subito sorge il pensiero: "Io vedo la carta". Allora fermati e comincia a chiederti: "Come sorge l'idea che io la vedo?" E', quando il senso dell'ego misteriosamente sorge, che la carta diventa 'carta'. Il senso dell'ego attribuisce prima un nome a se stesso e poi un nome all'altro a estremità di qualsiasi avvenimento.
Cos'è l'io? Cos'è il senso dell'ego? Da dove sorge l'idea "Io sono"? Questa è la domanda fondamentale a cui nessuno è riuscito mai a rispondere, ma tutti assumiamo che vi sia un ego, quell'assunzione stessa è l'ego. Nella frase "Io non so" è nascosto questo "io" che rifiuta di farsi indietro e rimane come un pilastro indistruttibile.
Ecco dunque che, nell'oceano dello spazio della coscienza indivisibile, un'onda sorge e la comprensione dell'unità dell'oceano scompare; in qualche modo quest'onda pensa: "Io sono, io sono un'entità, io sono indipendente".

Rāga-dveşā
Quando assumi che la frammentazione, la personalità è un'entità indipendente, che deve lottare per se stessa, cominci a sviluppare delle relazioni con quelli che consideri come altri. L'io (qualunque cosa esso sia) comincia ad avere esperienza della sofferenza, perché in qualche modo reagisce all'ambiente, dividendolo nettamente in due metà: una che gli piace e l'altra che non gli piace – rāga-dveşā. Rāga significa attrazione o approvazione; dveşā indica repulsione o disapprovazione. Perché una parte è terribile e l'altra no? Perché l'io è il centro della creazione e determina ciò che è giusto e ciò che è sbagliato. L'attività della mente comincia a distinguere: "Questo è piacevole, quello è spiacevole", "Questo l'amo, quello lo odio". Ti piace qualcosa perché ti dà piacere, ti dà piacere perché ti piace'. è un circolo vizioso che ti tiene costantemente sul tavolo della tortura, tirandoti contemporaneamente in due direzioni, senza mai rivelare la verità, che tutto questo altro non è che l'attività della mente.
Senza questi due sentimenti non c'è relazione. Swami Sivananda sosteneva che se elimini completamente queste due espressioni dalla mente e dal cuore, forse il mondo scompare come mondo (come materia, come energia) e hai la visione dell'Intelligenza Cosmica.


Abhiniveśāh

C'è solo un'altra categoria che la mente attenta e osservatrice dell'autore ha riconosciuto e questa categoria sembra aver ingannato anche lui. Questa è abhiniveśāh – l'attaccamento ostinato alla propria vita fisica. Patanjali afferma che questo è universale.
A causa dell'ignoranza, l'egoismo, la lussuria e l'odio, uno si lega alle cose che possiede e alla vita stessa. Pur sapendo che la vita è piena di miserie, ci leghiamo ugualmente ad essa, semplicemente perchè immaginiamo che la vita dopo la morte sarà spaventosa. Persino un vecchio di novantacinque anni vuole ancora continuare a vivere nel suo corpo così indebolito, e spenderà una fortuna cercando di prolungare la vita di altri tre giorni. Nessuno sa perché è così.
Quest'amore per la propria vita limitata è la direzione opposta al centro, opposta all'Intelligenza Cosmica, e sembra andare avanti autonomamente. E' anche parte della dicotomia espressa nella frase "Questo è piacevole, quello è spiacevole". Ci piace vivere, non ci piace non vivere, non ci piace la morte e il morire. Inventiamo delle belle teorie secondo le quali non moriamo veramente, ma andiamo in paradiso, che l'anima è immortale e in qualche modo entra in un altro corpo. Non sto mettendo in dubbio tutte queste teorie, ma cercando di mostrare come esse sorgano originariamente a causa della paura della morte. Perché abbiamo paura della morte? Perché non ci piace. Perché non ci piace? A causa dell'ignoranza.
Giorno dopo giorno le persone muoiono, tutti i giorni le imprese di pompe funebri sono impegnate, eppure quelli il cui tempo non è ancora giunto, pensano che non se ne andranno! C'è meraviglia più grande di questa? Lo stesso Patanjali lo considera un mistero.
E' bene ricordare che le fonti del dolore psicologico non possono essere completamente annientate o distrutte finché la personalità funziona come personalità, cioè, finché la vita funziona in questo corpo.



Conclusione
La verità fondamentale che avidyā asmitā, rāga, dveşā, abhiniveśāh sono kleśā (le radici della tristezza) non può essere insegnata da un libro. Uno deve essere giunto a questa comprensione per mezzo di un'osservazione molto chiara della vita così com'è; nella quale uno può facilmente vedere che tanto l'attaccamento che l'avversione (l'amore come l'opposto dell'odio) creano il dolore nella nostra vita. Questo non si può ottenere da un libro. Se dici, "Patanjali afferma che l'attaccamento non va bene, perciò non creerò l'attaccamento", questa è solo una conoscenza presa in prestito. Il fatto che c'è dolore, angoscia e sofferenza nella tua vita dev'essere visto da te, non può essere infuso dentro di te da qualcun altro.