YOGA SUTRA 1.36-47



Yoga Sūtra, I.36 viśokā vā jyotişmatī
O, uno può essere intensamente attento ad una persona o fenomeno interno (la psichica luce interiore della beatitudine) o esterno privo di dolore e pieno di splendore, e così superare le distrazioni della sostanza mentale.

Il Maestro, in quest’aforisma, suggerisce l’esistenza di una luce interiore nella quale non c’è né tristezza né distrazione mentale; se la tua attenzione è messa a fuoco su di essa e vi confluisce, allora le distrazioni mentali cessano. Essendo la tristezza, indice d’attenzione distratta, se quell’attenzione è messa a fuoco sulla luce interiore, che è libera dalla tristezza, puoi essere libero dalle distrazioni mentali. Per fare questo però, non dovresti crearti questa luce interiore come se fosse un oggetto, e poi meditarci; è un passatempo inutile. Meditare su qualsiasi tipo d’oggetto non ti porta da nessuna parte: è solo un punto di appoggio, un ausilio esterno per la visione interiore.

Con calma e senza distrarti, osserva la luce dentro di te, quella luce che è il Sé e che splende anche quando i tuoi occhi sono chiusi, rivelando i tuoi pensieri, i sentimenti, le tue esperienze, le memorie e l’immaginazione. Quella luce interiore è al di là della tristezza, proprio come nell’oscurità del sonno profondo non hai esperienza di alcun dolore. Contemplando la luce interiore che è al di sopra del dolore, uno supera tutte le distrazioni.



Yoga Sūtra, I.37  vīta rāga vişayam vā cittam
O, le distrazioni mentali possono essere eliminate, attraverso l’adorazione della coscienza di uno che è libero dal condizionamento (o della coscienza, la quale è libera dal condizionamento) o coloritura psicologica, attaccamento o passione). A questa categoria appartengono anche immagini divine, corpi celesti come il sole, ed esseri illuminati viventi – o anche bambini – tenendo sempre presente, però, che è la loro natura incondizionata a conferire loro la qualità di essere così adorati.
Quella, che è al di là di questa contaminazione o condizionamento, è la mente pura e immacolata, se volete chiamarla mente; potete chiamarla Dio o in qualsiasi altro modo, non importa.
Se non c’è alcun’onda di pensiero nel citta, quello è Dio. E’ per questo che Patanjali ci permette di meditare sul citta stesso, quando non contiene alcun pensiero o desiderio - vīta rāga vişayam vā cittam. E’ una meditazione astratta e difficile, ma si può fare. Cos’è la tua intelligenza, quando non contiene alcun desiderio, pensiero o attaccamento? E’ Dio. Contemplando quell’intelligenza, uno può superare le distrazioni psicologiche, perciò Ramana Maharishi disse: “Scopri dove sorge questo pensiero, dove sorge questo desiderio, se lo segui e trovi la sua radice, troverai Dio.”
Questo Sūtra può anche riferirsi ad una persona o oggetto che siano liberi dalle forze gemelle di attrazione e repulsione. In questa categoria potete includere i grandi maestri che sono liberi da amore e odio, passione ed ira, che sono puri cristalli; bambini, immagini e statue o qualsiasi immagine di Dio, qualunque cosa suggerisca la presenza divina; qualsiasi fenomeno naturale – il sole, la luna, le stelle – di fatto, qualunque cosa che risplende ma non è contaminato da amore e odio. Qualunque persona, qualunque cosa o la tua coscienza più profonda in cui la contaminazione di piacere e dispiacere, attrazione e repulsione odio e amore non esiste - quella coscienza incondizionata e incontaminata – è anch’essa degna di contemplazione. Contemplando questi, la propria mente diventa ferma e indisturbata.


Yoga Sūtra I.38  svapna nidrā jňānā alambanam vā
O, le distrazioni possono essere rimosse mantenendo la saggezza acquisita nei sogni, che si tratti di visioni parapsicologiche o sogni simbolici, così come la saggezza acquisita per mezzo di una profonda riflessione sul ‘messaggio’ del sonno profondo, nel quale c’è assenza totale di distrazioni mentali, senza alcuna esperienza di diversità. In questo stato, libero da ostacoli, uno ha ‘esperienza’ di pace e felicità, di cui si rende conto al risveglio.

Questo Sūtra è stato interpretato in vari modi. Alcuni yogi affermano che, se si ha una visione in un sogno, si può meditare su quella visione e, se ti è dato un mantra in sogno, puoi ripetere quel mantra.
Uno sogna e, svegliandosi, si rende conto che stava sognando, di aver avuto un sogno molto piacevole o angoscioso; mentre hai un incubo ti riempi di sudore, poi ti rendi conto che era irreale, eppure, mentre sognavi era reale, altrimenti non avresti sudato!
Osserva il sogno e il sonno; qual è la saggezza riguardo al sogno? L’esperienza del sogno t’insegna (se desideri imparare) che il tempo, lo spazio e la sostanzialità non sono completamente immaginari, ma hanno la caratteristica del sogno. Nel sonno, dimentichi il mondo: neanche la consapevolezza ‘io sono il corpo’ esiste, l’esperienza dell’io non esiste nel sonno, cioè, la persona che dorme non dice “io sto dormendo”. Perciò il tempo, lo spazio e la sostanzialità non sono così reali come noi li consideriamo; il sonno ed il sogno c’insegnano a non prendere le cose secondo il loro valore apparente.
C’è un altro punto di vista ed è che, forse, stiamo tutti sognando ed è ora di svegliarci da questo lungo sogno. Se cominci a meditare su questa meravigliosa verità, senza né accettarla come dogma o verità inviolabile né rigettarla come infantile, dentro di te ci sarà un forte cambiamento.
Quando qualcuno ti si avvicina con astio, se pensi, “Forse sto solo sognando”, non reagisci con violenza o aggressività, cosa che promuoverebbe o perpetuerebbe questo conflitto. Però, puoi anche gridare, perché no? Anche nel sogno gridi! L’ostilità termina lì e, proprio in quel momento, il tuo atteggiamento verso la vita ed i suoi eventi avrà subìto un cambiamento.


 I.39  yathā abhimata dyānād vā

O, le distrazioni possono essere superate con l’adozione di qualsiasi tecnica contemplativa, usando qualsiasi oggetto di meditazione che a uno piace di più, poiché ciò che piace di più mantiene la propria attenzione, e la tecnica che a uno piace di più rende facile la contemplazione – a condizione, naturalmente, che né l’oggetto né la tecnica stessa coinvolgano o invitino la distrazione.

Scegli qualunque tipo d’esperienza ti piace – vedere, ascoltare, immaginare, ravvivare la memoria, gustare o toccare – ma sii totalmente centrato su quell’esperienza; diventa totalmente consapevole di questo fenomeno chiamato esperienza (ma non farlo con lo scopo di averne esperienza, perché allora sei distratto: se lo fai con il desiderio di averne esperienza, ti perdi).
Fa qualunque cosa preferisci, ma fa qualcosa per venire a tu per tu con questa distrazione mentale. Usa qualsiasi mezzo – che sia ortodosso, suggerito dai vari maestri o qualcosa che tu inventi per il tuo caso specifico, per cercare di scoprire come la mente e l’attenzione si distraggono, come una vṛtti sorge. Diventa consapevole del fenomeno stesso dell’esperienza, finché l’unica verità che ti rimane sia “Io ho esperienza”, che poi non è mai così, ma è, “io vedo” o, “io so”, “io sento”, “io gusto”, ecc. Continua, finché non rimane solo quella come verità. Allora ti chiedi: “Dov’è l’esperienza?” In te. Che distanza c’è tra te e l’esperienza? Che relazione intercorre tra te e l’esperienza? C’è un’esperienza distinta da te o è l’esperienza inseparabile da te? Se l’esperienza è in te, come fai a toccarla? Come ti metti in contatto con essa?
Ricorda che questa è tutta una tua creazione, tutto quanto hai messo insieme con l’aiuto della tua attività mentale, è magnifico, è un bel sogno. C’è ancora una divisione – colui che vede e ciò che è visto, il meditante e l’oggetto della meditazione, il soggetto e l’oggetto; finché c’è questa divisione sei sicuro che c’è anche l’ignoranza ed il conseguente senso dell’ego.
La perfezione c’è, non ha lasciato il suo trono onnipresente, ma hai coperto il tutto con la tua attività mentale e i concetti; stai giocando con queste creature della tua mente, che sono tutte in relazione all’ego. Ecco perché in uno dei suoi discorsi, Ramana Maharishi afferma che soltanto l’inchiesta sul sé è il sentiero giusto, perché la meditazione è basata sull’ego; è l’ego che fa la meditazione.
La meditazione di Patanjali vuole essere solo un esercizio per ottenere il potere di concentrarsi, di entrare dentro se stessi. Prima impari a concentrare la mente, a metterla a fuoco su qualcosa che hai scelto; ma per tutto il tempo ti ricordi che è solo un esercizio. Uno deve passare attraverso quest’esercizio e uscire dalla parte opposta dell’ignoranza, dove c’è l’illuminazione. Se non ti ricordi questo, resti aggrappato ad un qualcosa che chiami meditazione, che in sostanza è un’attività mentale basata sull’ego e relative esperienze. Puoi anche avere diverse esperienze, ma sono tutte relazionate all’ego.




 I.40  paramā ‘nu parama mahattvānto ‘sya vaśīkārah

La mente o l’intelligenza così liberata dalle distrazioni, avvolge o comprende il più piccolo come anche il più grande – poiché è libera da tutte le limitazioni, da tutti i condizionamenti e da ogni coloritura, ed è quindi come il più puro cristallo.

Se così l’attenzione rimane priva di distrazioni, e se la visione interiore è priva di coloritura (condizionamenti), c’è fermezza nella concentrazione dell’attenzione.
Nello stesso tempo, se l’attenzione non è attratta (non solo non distratta) in altre direzioni, allora la mente è capace di comprendere dalla cosa più piccola alla più grande. L’attenzione, libera da tutte le sue limitazioni, è istantaneamente capace di portare dentro di sé l’intera esistenza.
Libera da tutti i condizionamenti, quell’attenzione diventa una con l’intero universo e vede che quello che era il sostrato di ‘me’, e quello che era in ‘me’ è in tutto e perciò, il ‘me’ è il tutto. Non c’è limitazione, né come individuo né come unità cosmica; non c’è l’idea che il sé sia limitato solo a me, né che sia solo universale.
Ciò che era dentro di me è il sé e quel sé è non solo dentro di me, ma in tutti.



I.41  ksīna vritter abhijātasye eva maner grhītr grahana grahyesu tatsthatad aňjanatā samāpattih

Perché non si fraintenda che l’intelligenza liberata dal condizionamento e dalla coloritura sia letargica, inattiva, non reagente e vuota, dev’essere ricordato che, come un puro cristallo riflette senza distorsione o confusione qualunque oggetto gli venga posto vicino, anche la ferma e sempre vigile intelligenza riceve e riflette il colore (la natura) del soggetto, del predicato e dell’oggetto in tutte le situazioni, istantaneamente, spontaneamente e appropriatamente.

Il mondo esterno non è visto nella sua forma reale da nessuno, se non dallo yogi. Ciò che voi vedete è la proiezione della vostra mente, del vostro condizionamento e della vostra fantasia. Voi vedete il mondo come vi piace vederlo, come non vi piace vederlo o come avete paura che possa essere.
Quando le vritti sono scomparei, quando i vostri pensieri non sono governati dal vostro umore o dal caso, allora ciò che è reale soltanto esiste.
La vita di quella persona è come il più puro cristallo – riflette ogni cosa così com’è. Nel suo caso non c’è né espressione né soppressione; non dice né che non farà questo, né che vuole fare quello. Non si crea delle restrizioni né si lascia andare. Il cristallo non fa che riflettere, senza alcun’intenzione di farlo.
In astratto, è quasi impossibile capire tutto questo; solo se avete incontrato uno yogi come Swami Sivananda è facile capirlo. Per esempio, egli usava raramente parole come ‘grazie’ o ‘scusa’, fino a quando un giorno arrivò una persona di cultura occidentale, allora disse “Mille grazie!”. Appena veniva qualcuno di cultura orientale, giungeva le mani e diceva “Namaste!”. Quando un bambino andava da lui, il suo era un volto da bambino – il bambino vi si rifletteva immediatamente. Se c’era una persona infelice quell’infelicità si rifletteva in lui immediatamente, ma sempre senza che lui lo volesse. Ksīna vritter abhijātasye: quando le vritti sono scomparse, uno diventa un cristallo trasparente. La coloritura è assunta, ma il cristallo non viene mai realmente colorato; sembra riflettere il colore, ma il colore non appartiene al cristallo, né vi aderisce, né vi rimane.


 I.42 tatra śabdā ‘rtha jňāna vikalpaih samkīrnā savitarkā samāpattih
Nel caso della comprensione raggiunta attraverso la logica o il ragionamento, c’è confusione a causa delle differenze che esistono tra la parola (descrizione), il significato (sia come sostanza descritta sia come conoscenza del significato della parola) e l’immaginazione o assunzione, perciò essa non è chiara, ma incerta.

Finché la logica ed il ragionamento funzionano e la mente cerca di capire, c’è la possibilità d’incorrere in malintesi, perché la mente funziona su base dualistica, per cui la comprensione ed il suo correlato, il malinteso devono entrambi esistere. Per esempio, quando uso l’espressione ‘Io ti amo’, molte cose possono esservi implicate. ‘Ti amo’ può significare che non amo qualcun’altro, che non ti odio, che non ti amavo prima, o che non ti amerò in un altro momento.
Quindi, capire o capire male possono anche essere attribuiti ad una confusione che è inerente al pensare e al ragionare. Usiamo una parola e questa, sfortunatamente, porta un suo bagaglio, che chiamiamo ‘significato’. Questo è uno dei più grossi problemi che tutti gli insegnanti si trovano a dover affrontare: l’insegnante dice qualcosa e lo studente lo traduce nel suo idioma; se ci sembra di capirci, in genere è per puro caso!
Perciò, quando si usa la mente razionale, sembra esserci comprensione – jnana – e, quando questo si manifesta nella mente, sembra esserci un certo stato d’equilibrio interiore; questo stato assume le sembianze di conoscenza, auto-conoscenza, equanimità o equilibrio, ma è solo un’apparenza. Patanjali con il suo approccio completamente scientifico, non scarta questa comprensione come inutile, ma dice che c’è e che puoi usare la tua logica fino a giungere alla sua conclusione. Oltre quel punto, la logica è inutile.
Anche questo tipo di comprensione porta pace interiore e tranquillità, che spesso, però durano poco e possono essere seguiti da un forte turbamento. Che poi possa portarci fuori pista, è inutile dirlo.



I.43  smṛti pariśuddhau svarūpa śūnye ‘vā ‘rthamātra nirbhāsā nirvitarkā
Ma quando la sostanza mentale è purificata dalla memoria, l’io o la personalità (che era solo la frammentazione, il condizionamento, la coloritura o l’impurità) viene per così dire cancellato, e la sostanza o verità soltanto splende, senza distorsione, logica o ragionamento, che sono funzioni della personalità limitata.

Smṛti è tutto ciò che è stato caricato nel cervello, che abbiamo considerato come la  ragione, l'intelletto o la memoria e che era stata confusa con la conoscenza. Questo può essere lavato dalla sostanza mentale realizzando che si tratta solo di memoria, puro condizionamento, nozioni. Ogni volta che reagisci ti rendi conto che questa reazione viene dalla memoria, dal condizionamento; abbandonando questo schema, l’intelletto razionale si acquieta e giunge alla sua propria conclusione. Quando questo accade, l’intelligenza comincia a rispondere e perciò c’è una risposta intelligente.
Quando l’intelligenza si muove verso il suo centro, il movimento è quasi inesistente: swarūpa śūnye ‘vā - come se l’osservatore non esistesse. Quando l’ego (l’io, l’osservatore) è assente o come se assente, allora la meditazione avviene; altrimenti c’è semplicemente pensiero. Nella meditazione non è l’io che sta osservando ma c’è il puro osservare. In quell'osservare, l’osservatore è ancora osservato, per cui c’è ancora della dualità; l’osservatore però sembra quasi scomparso e l’oggetto osservato riempie quasi l’intero spazio. Un movimento c'è nell’intelligenza ma è totalmente interiore, verso l’osservato, l’oggetto dell’osservazione. E’ allora che uno diventa chiaramente consapevole dell’oggetto, che si tratti di una persona, un’esperienza o una relazione.
A quel punto non c’è alcuna attività mentale o intellettuale, c’è questo puro e semplice osservare: l'osservatore è ancora vivo ma lo è appena, mentre l’osservare o l’oggetto osservato splende raggiante.
Se questo può accadere, è probabile che vi sia più comprensione e meno fraintendimento.


I.44.  etayai eva savicārā nirvicārā ca sūkṣma viṣayā vyākhyātā
Tutto quanto è stato detto sopra, si applica anche a simili distinzioni tra gli altri metodi già suggeriti (come il metodo dell’indagine) e la spontanea consapevolezza. Ecco che questi e tutte le sottigliezze coinvolte sono stati spiegati, lasciando solo da trattare la sottile entità che ha l’esperienza.
Nella stessa maniera potete comprendere quello che è chiamato savicārā. In savicārā c’è un movimento positivo e definito verso l’oggetto osservato. Prendiamo come esempio il fenomeno della paura. Nella prima fase ci state solo pensando, razionalizzandola, rigettandola o accettandola e così via. Terminata questa fase, fate uno sforzo positivo per osservarla; in questo caso, state facendo uno sforzo per osservare il fenomeno chiamato paura dentro di voi. La mente sta cercando di comprenderlo, ma continua a chiamarlo paura, ed è così che diventa paura. Quando quell’etichetta scompare, la paura scompare ma c’è ancora un’esperienza d’agitazione dentro. Per poter osservare quell’agitazione, l’intelligenza si rivolge su se stessa e, anche mentre lo fa, l’agitazione c’è; vale a dire, l’intelligenza è anch'essa in movimento – savicārā – stai spingendo l’intelligenza verso quell’esperienza. Poi alla fine di questo c’è nirvicārā, in cui, senza alcun movimento, diventate consapevoli di quell’esperienza: allora c’è la pura e semplice consapevolezza e la sua definizione come paura ha termine.
Quando osservate un fenomeno estremamente sottile dentro di voi, la paura o altro, questa non è più un’emozione, un’esperienza materiale. Sūkṣma viṣayā – Cos’è che sta succedendo in te? Non vuoi né un nome né una definizione, come intelligenza, movimento di prāņa, pensiero, emozione, o sensazione. Quando respingete tutte le definizioni e descrizioni, vi rendete conto che non è né tangibile né grossolano, ma molto sottile. E’ persino più sottile di un pensiero; è anche più sottile di quanto pensavate che fosse!
Allora la meditazione diventa meravigliosa; ed è allora che qualunque cosa vi succeda, in qualsiasi momento della vita, può diventare meditazione.


I.45.   sūkṣma viṣayatvaṁ cā 'liṅga paryavasānam
Quando così il sottile conoscitore della consapevolezza interiore è osservato senza interruzione, si arriva a quello che non ha alcuna identificazione o marchio distintivo ma che, nello stesso tempo, non è un vuoto.

Quando continuate a osservare con attenzione dentro di voi, con tutto il vostro cuore e la vostra anima, le caratteristiche con cui identificate quel fenomeno scompaiono.  Quando avete paura (o siete agitati dall’ira, dal desiderio o dall’ansia) e il cuore comincia a pompare velocemente, se osservate la paura che ha scatenato questo stato (e continuate a farlo) il cuore sembra rispondere e collaborare in una maniera molto bella; diventa via via più tranquillo, e così tutte le caratteristiche che avevate associato alla paura (o l’eccitazione o l’ansia) cessano e c’è uno stato che non può essere descritto o definito.  ‘Io’ sono ancora lì, osservando e avendo esperienza di questo, ma tutte le caratteristiche distintive sono scomparse.

I.46.  tā eva sabījaḥ samādhiḥ
Quella realmente è la realizzazione dell’essenza cosmica omogenea, benché anche in questa c'è il seme della potenziale frammentazione, che è la coscienza dell’individualità dell’osservatore.
Quello è samādhi , profonda contemplazione o totale equanimità ed equilibrio; ma in esso c’è ancora il seme dell’intera precedente agitazione. E’ come un bambino che sembra essere totalmente libero dai nostri difetti, debolezze e pregiudizi – non perché ha risolto questi problemi, ma perché non si è ancora risvegliato ad essi. Questa è la differenza tra il bambino e il saggio. Il saggio ha superato questi problemi, il bambino deve ancora risvegliarsi ad essi.



I.47. nirvicāra vaiśāradye adhyātma prasādah

L'abilità e l'esperienza in tale osservazione dispensa persino dall'auto-inchiesta, grazie al fatto che l'ininterrotta consapevolezza di sé è diventata naturale: allora c'è illuminazione spirituale, pace e beatitudine.
Quando continui a praticare vicāra, rivolgendo l’intelligenza su se stessa senza attività mentale, sei andato al di là dell’intelletto razionale (dove la logica ha raggiunto la sua conclusione logica) e ti sei allenato in questo puro osservare. Qui stai osservando intensamente qualunque cosa accada dentro di te. Prima di sforzi per farlo – c’è sicuramente uno sforzo all’inizio. Quando diventi esperto, quest’esercizio diventa spontaneo e naturale, e c’è pura, immobile osservazione di te stesso. Sei in grado di passare a questa autosservazione senza assolutamente alcuno sforzo o difficoltà.
Quando l’io o l’osservatore si è totalmente arreso al suo proprio sostrato (che è l’intelligenza cosmica), quel movimento ha termine. C’è la grazia di Dio: questo è l’unico senso in cui la grazia di Dio, la grazia del sé infinito, può essere usata in maniera appropriata. La grazia di Dio è comprensibile solo in questo contesto in cui l’intero essere si è arreso.
E’ importante ricordare che la conoscenza di sé non è la conoscenza acquisita dall’io o da me stesso. L’io non può mai conoscere il sé, essendo l’io semplicemente un vritti, un’onda non può conoscere l’oceano. E’ l’oceano che conosce se stesso ed è l’oceano che conosce tutte le onde e le correnti che in esso o su di esso fluiscono.
Il successivo è un sutra molto bello e importante: