BHAGAVAD GITA, CAP. III, versi 1-30

Cap. III                                                                                    V. 1,2

Arjuna disse:
Se tu consideri che la capacità di comprendere sia superiore all’azione, perché, o Krishna, mi chiedi di impegnarmi in un’azione così terribile?
Queste parole apparentemente contraddittorie mi confondono; ti prego perciò di dirmi con certezza qual è il sentiero attraverso il quale posso raggiungere la beatitudine.

V.3
Il Signore beato disse:
In questo mondo vi è un duplice sentiero, come ho detto in precedenza, o privo di peccato: il sentiero della saggezza (jnana yoga) dei sankhya ed il sentiero dell’azione (karma yoga) dello yogi.
V.4,5
L’uomo non può raggiungere l’assenza d’azione semplicemente non agendo; né può ottenere la perfezione con la semplice rinuncia.
In realtà, nessuno può rimanere senza agire neanche per un momento,  perché tutti sono costretti ad agire, spinti dalle qualità della natura.
V.6,7
Colui che, tenendo a freno gli organi dell’azione, ha la mente agitata dagli oggetti dei sensi, s’illude d’aver compreso, ma è un ipocrita.
Raggiunge invece il successo, o Arjuna, colui che disciplinando i propri sensi con la mente, impegna gli organi d’azione nel karma yoga, senza attaccamento.
V.8,9
Compi le azioni che fanno parte del tuo dovere, perché l’azione è superiore all’inazione. Senza l’azione, infatti, non potresti neanche mantenere il corpo in vita.
Il mondo è imprigionato dalle azioni compiute per fini egoistici. Compi dunque le azioni come un’offerta (yajňaya=quella, jňa=conoscenza), senza attaccamento.



Cap. III                                                                                    10,11
In principio il creatore, avendo creato l’essere umano insieme al sacrificio (yajňa), disse: “Con questo vi propagherete e questo sia per voi la vacca dell’abbondanza per realizzare i vostri desideri.
“Con questo nutrirete gli dei, e possano quegli dei nutrire voi. Sostentandovi così reciprocamente, raggiungerete il sommo bene."
Lo spirito del sacrificio fu creato da Dio, anzi è Dio stesso. Perciò vediamo che il seme muore per dar vita alla pianta, la madre soffre i dolori del parto per dare alla luce una nuova vita. Metafisicamente la stessa creazione è il sacrificio supremo di Dio – l’uno che diventa molti; è questo spirito di sacrificio che promuove la vita ed il benessere sulla terra.
In questo senso sacrificare non è “immolare una vittima”, ma è una mistica, magica, divina trasformazione di tutte le sostanze e di tutte le attività inerenti la vita, nella quale non c’è una perdita, ma un completamento. Il completamento di un seme che diventa albero, il compimento della maternità ed il completamento d’ogni vita con la realizzazione della potenziale divinità. Con il sacrificio della limitazione dell’io, il sé realizza la sua unità con l’essere cosmico, la goccia splende come oceano nel supremo amore cosmico; perciò il sacrificio è puro amore nel quale il peccato e l’angoscia non trovano posto.
Quali dèi nutriamo per mezzo del sacrificio? Se leggiamo l’ingiunzione del verso 11, insieme al comandamento della Taittrīya Upanishad , secondo il quale dobbiamo trattare i genitori, gl’insegnanti e l’ospite come Dio, è chiaro che il Dio è il nostro prossimo nel senso cristiano. In altre parole, dobbiamo tutti aiutarci l’un l’altro e la parola yajňa o sacrificio ci ricorda di farlo senza neanche una traccia d’egoismo. I nostri atti di carità non dovrebbero lasciarsi dietro una traccia d’egoismo, come il ghee (burro chiarificato) versato nel fuoco si consuma completamente.
Noi ci rendiamo la vita infelice sulla terra solo a causa di desideri egoistici, avidità e motivi inferiori. Quando lo spirito del servizio non egoistico governa le azioni dell’uomo e quando questi impara a gioire nella felicità del prossimo, allora avremo un paradiso sulla terra e i desideri di ognuno saranno appagati.
Questa dottrina del servizio disinteressato e auto-sacrificante è davvero la vacca dell’abbondanza  (mitica vacca di Indra dalla quale si può ottenere il compimento dei propri desideri).

Cap. III                                                                                    12,13

"Gli dei, nutriti dal sacrificio, vi concederanno gli oggetti desiderati. Perciò, colui che gode di questi doni senza far loro alcuna offerta, è veramente un ladro.
I buoni che mangiano i resti del sacrificio sono liberati da tutti i peccati; ma quelli che cuociono il cibo solo per se stessi, veramente mangiano peccato."
Non il rituale chiamato yajňa, ma il semplice atto quotidiano universale di cucinare è considerato yajňa o sacrificio qui. Allo stesso modo, tutte le nostre azioni dovrebbero essere atti di servizio auto-sacrificante e non egoistico, sempre per gli altri, mai per noi stessi. Siamo “l’altro” dell’altro!
Questo stabilisce in modo definitivo ogni disputa etica: cos’è bene e cos’è male? Il servizio reso senza desideri e sacrificando se stessi è buono, l’azione egoistica è cattiva. Indipendentemente da come appare esternamente - un atto di servizio disinteressato è buono - per quanto grandiosa e filantropica possa apparire, un’azione egoistica è cattiva.
Lo spirito del sacrificio fu intessuto nel nostro stesso stile di vita, in modo che eravamo quasi obbligati a nutrire il nostro prossimo, gli animali e gl’insetti prima di mangiare; il sacrificio di sé è la nostra religione, la carità è il nostro dovere supremo: La nostra preghiera al Signore è che ognuno sia felice, che tutti gli esseri godano pace, prosperità e felicità. Bali-dāna (popolarmente noto come sacrificio animale o un suo equivalente) è il punto culminante di yajňa, ma secondo il Bhāgavatam, il re Bali diede tutto al Signore e, infine, offrì anche se stesso, in un atto di supremo sacrificio di sé. Il vero Bali-dāna è dunque il sacrificio totale del nostro intero essere, della nostra stessa anima all’altare di Dio in modo che, nella piena e diretta realizzazione che l’io è ed è sempre stato una non-entità, un oscuro fattore dividente, persino il pensiero “io faccio questo o “io godo” o “io soffro” non è più nel nostro cuore. La carità richiede il sacrificio, il sacrificio porta al dono di sé e in questo modo siamo liberi dal peccato.


Cap. III                                                                                     14, 15
Dal cibo vengono gli esseri, dalla pioggia è prodotto il cibo; dal sacrificio viene la pioggia, e il sacrificio nasce dall’azione.
Sappi che l’azione ha origine da Brahma e Brahma viene dall’Assoluto. Il Brahma che tutto pervade, nel sacrificio ha la sua dimora.
Gli elementi della natura vengono in qualche modo influenzati dall’energia del pensiero. C’è un proverbio in Tamil secondo il quale, se c’è un uomo giusto in un villaggio, l’intera comunità avrà le benedizioni di piogge sufficienti ad assicurarne il benessere. La persona egoista, invece, è più interessata a distruggere la prosperità del vicino che a costruire la propria, perché vuole emergere al di sopra dell’altro. Quando tutti sono egoisti, l’intera atmosfera è satura di correnti di pensiero negative; la cattiva volontà crea vibrazioni negative nell’aria e l’umore distruttivo prevale. Allora gli elementi stessi reagiscono a queste vibrazioni negative portando siccità e malattie.
Se, al contrario, predomina lo spirito d’altruismo nel cuore, l’uomo cercherà sempre di promuovere il bene degli altri. Le sue azioni saranno pure e promuoveranno la prosperità, poiché sono in armonia con la legge eterna che ha creato e sostiene l’intero universo.
16
Colui che, soddisfatto nel piacere dei sensi non dà il suo contributo a far girare la ruota che sostiene il mondo, trasgredisce le leggi dell’universo e vive invano, o Arjuna.

Qui viene introdotto il primo principio del modo di vivere suggerito dalla Bhagavad Gita. L’intera creazione è basata sulla legge del reciproco aiuto. La carità non è un modo di distinguersi o un privilegio, e neanche un atto meritevole, ma è la legge stessa della vita.
La vita è una e universale, è la natura stessa del cosmo. Il riconoscimento di questa verità – che tutti siamo indivisibilmente, anche se non visibilmente uno – è l’amore. L’espressione di quell’amore è il servizio, la solidarietà, la reciprocità, perché… non c’è scelta!
Tra la pianta ed il minerale, tra la pianta e l’essere umano, c’è un servizio reciproco. Quello che l’uomo elimina, inclusa l’aria che espira, ricca di anidride carbonica, è cibo per la pianta e qualunque cosa la pianta dà, incluso l’ossigeno che “esala”, è cibo per l’uomo. Non stiamo facendo la carità espirando l’anidride carbonica per le piante, ma moriremmo se non lo facessimo!


Cap. III                                                                17, 18
Ma, per l’uomo che gioisce nel Sé soltanto, che del Sé è illuminato e che nel Sé è completamente soddisfatto, non c’è nulla che debba essere fatto.
Per lui non c’è alcuna importanza o interesse personale riguardo a ciò che è fatto né a ciò che non è fatto, né ha bisogno di dipendere da altri esseri per alcuno scopo.

Il dolce suggerimento di Krishna è: finché ti aspetti che gli altri ti servino e promuovano la tua prosperità, finché la tua felicità dipende da quello che altri fanno per te, interessati profondamente anche nella felicità degli altri.
C’è anche uno stato d’essere in cui il saggio riposa nel Sé; lui non è obbligato a fare o non fare: ma qual è il Sé in cui il saggio dimora? Il Sé è la coscienza, il tutto, l’indivisibile, non la frammentata personalità che sorge dal pensiero che noi egoisticamente chiamiamo sé. Il Sé è la “consapevolezza senza scelta” nelle parole di Ramana Maharishi, la “coscienza testimone” di Gurudev Sivananda, e “l’osservazione senza osservatore” nelle parole di Krishna. Quando quel Sé è velato, un altro sé (l’ego) sorge in maniera apparente, non reale e pensa (la mente) di essere dipendente o indipendente dagli altri. La consapevolezza che è il Sé, non ha un’idea d’individualità che generi l’egoismo. Il saggio che dimora nel Sé soltanto, non è egoista, l’intero universo è il suo corpo; è come il sole, con la sua luce illumina tutti. E’ uno con tutti e quindi fa ogni cosa attraverso ciascuno, anche se può apparire inattivo; allo stesso modo, non fa nulla anche se il suo corpo e la sua mente sono attivi, perché l’ego frammentato è scomparso insieme al velo d’ignoranza che si è sollevato dal suo sguardo.



Cap. III                                                                    19
Perciò, compi sempre l’azione che dev’essere compiuta (il tuo dovere) senza attaccamento. Infatti, compiendo l’azione senza attaccamento l’uomo raggiunge il supremo.

Krishna non incoraggia l’abbandono del proprio dovere. Varie espressioni sono usate: nityatam karma (azione in accordo all’ordine cosmico), kāryam karma (l’azione che dev’essere fatta) o sva-karma (la propria azione naturale) e queste sono usate come sinonimi di sva-dharma (il proprio dovere). Il dovere tiene insieme la società; il mio dovere è tuo privilegio e viceversa. L’azione compiuta tenendo presente quest’ideale è il dharma, che tiene le persone unite in amore ed armonia.
Tanto l’azione egoistica, quanto il compimento del dovere di un altro (di cui ci si è appropriati per un desiderio egoistico) devono essere abbandonati, ma non il compimento del proprio dovere. Krishna dà una definizione rivoluzionaria anche al samnyāsa; neanche un monaco deve rinunciare al proprio dovere.
Nelle nostre scritture vi sono diversi esempi di yogi che raggiunsero la perfezione conducendo la loro ordinaria vita familiare, senza desideri egoistici e senza attaccamento. Dare un valore esagerato agli oggetti del mondo crea dei desideri nella mente; i desideri fanno sorgere l’attaccamento alle azioni calcolate per ottenere gli oggetti desiderati, ed è quest’attaccamento che si rivela come causa di dolore e ostacolo alla perfezione.
Quello che viene normalmente definito “distacco”, non è il vero opposto dell’attaccamento né il suo antidoto: in realtà è un’altra forma di attaccamento – attaccamento ai propri interessi, alla propria ideologia e avversione agli altri.
Il non-attaccamento è la scoperta della verità concernente l’attaccamento; il proprio “dovere” è la scoperta di quello che è “naturale” a se stessi, non le ingiunzioni e proibizioni prescritte o proscritte da altri.


Cap. III                                                    20-26          
Janaka e altri raggiunsero la perfezione per mezzo dell’azione; anche con uno sguardo alla protezione del mondo tu devi operare.
Qualsiasi cosa un grande uomo fa, quella fanno anche gli altri uomini; quel modello che egli stabilisce, il mondo lo segue.
Non c’è nulla nei tre mondi, o Arjuna, che io debba fare né alcuna cosa che debba ottenere che non sia stata già ottenuta; eppure m’impegno nell’azione.
Se, infatti,  non m’impegnassi  instancabilmente nell’azione, gli uomini seguirebbero in ogni maniera il mio sentiero, o Arjuna.
Questi mondi sparirebbero, se io non m’impegnassi nel mio operare; sarei il creatore del disordine e la causa della distruzione di queste creature.
Come le persone ignoranti agiscono a causa dell’attaccamento alle loro azioni, o Arjuna, così il saggio deve agire senza attaccamento, desiderando il bene del mondo.
Che il saggio non turbi la mente delle persone ignoranti attaccate all’azione; egli deve piuttosto incoraggiarli ad operare, compiendo lui stesso le azioni con devozione.
Questa è la base e la conferma di tutti i differenti culti e le differenti religioni nel mondo. Essi sono tutti uno nel loro scopo e guidano gli uomini alla stessa meta, ma le persone sono diverse e i loro credi differiscono in accordo al loro temperamento.
Il proselitismo ha sempre avuto come risultato quello di  demoralizzare! Una volta che la fede di una persona è drasticamente disturbata, è quasi sempre difficile che ritrovi una base stabile. Una volta che ad un uomo viene detto che le cose in cui lui ed i suoi antenati fermamente credevano è solo mito e falsità, è quasi impossibile che lui creda con tutto il cuore alle cose che il proselita gli  propina. Può accettarle come espediente temporaneo, ma la minima provocazione sarà sufficiente a sradicare le nuove credenze!
Quando una persona è sveglia e matura, comprende da se stessa la falsità di certe credenze e le lascia cadere. Allora la fede sorge in lui. La fede non è una “denominazione religiosa” o una “credenza”, ma è il riflesso di Dio nel cuore del devoto; è, per così dire, il penultimo stadio, prima della realizzazione di Dio o della conoscenza del Sé.




Cap. III                                                       27-29

Tutte le azioni, d’ogni genere, sono compiute dalle qualità della natura soltanto. Chi è sviato dal senso dell’ego pensa: “Sono io che faccio”.
Ma colui che conosce la verità, o Arjuna, della distinzione (del Sé) dalle qualità e dalle loro funzioni, sapendo che le gunā o qualità della natura come sensi, si muovono in mezzo alle gunā come oggetti dei sensi, non soffre l’attaccamento.
Coloro che sono fuorviati dalle qualità della natura soffrono l’attaccamento alle azioni, prodotte dalle qualità naturali stesse. La persona che possiede la conoscenza perfetta non deve turbare la mente di costoro che hanno una conoscenza solo parziale.

Cos’è la natura? E’ la natura di Dio. In accordo con la volontà di Dio, le qualità della sua natura sono costantemente attive. Anche noi siamo parte di quella natura, siamo tutti cellule, per così dire, nel corpo cosmico di Dio, ma assumiamo per noi stessi una personalità indipendente a causa dell’ignoranza.
Quest’individualità è un mistero, è in realtà un’indivisibile dualità. Siamo tutti indivisibilmente uno in Lui; siamo tutti insieme il corpo di Dio. Realizzare questo è saggezza; dimenticarlo è ignoranza.
Nel nostro corpo, per esempio, in ogni momento milioni di cellule stanno operando varie funzioni vitali, lavorano in armonia, in accordo con le leggi della singola forza vitale unificata che le comanda tutte: c’è perciò, armonia e salute nell’intero organismo. Allo stesso modo, se tutti noi sentiamo e realizziamo di esser il corpo di Dio e portiamo avanti la sua volontà, ci sarà pace e prosperità sulla terra; ma gli stolti assumono un falso senso dell’io creando così disarmonia e disastri.
Espressioni del tipo “bene e male”, “giusto e sbagliato”, perdono il loro significato sotto questa luce. Ma il saggio non disturba la mente di coloro che credono in esse!


Cap. III                                                  30
Rinunciando a tutte le azioni in me, con la mente centrata sul Sé, libero dai desideri, dall’egoismo e dalla febbre mentale, combatti.
Il comandamento di combattere non dev’essere preso alla lettera; Arjuna era un guerriero e combattere era il suo dovere. L’invito di Krishna è che tutti facciamo il nostro dovere nello spirito di questo verso.
Rinunciando a tutte le azioni in me” (cioè, in Dio); la parola in sanscrito è “nyasya”, che è difficile tradurre. Significa anche “ponendo tutte le azioni in Dio” o, in altre parole, “sentendo che tutte le azioni sono fatte da Dio”. Per una persona non illuminata tutte le azioni sembrano provenire da se stesso, ma il saggio sa che le sue azioni sorgono da Dio.
La persona, la cui la mente non è centrata sul Sé, ma è sviata dalle tempeste dei desideri e delle passioni, pensa di pensare, di vedere, di lavorare e di parlare. Le sue azioni sono dettate dall’ego, egli arroga su di sé il potere di fare, di non fare e di disfare, che in realtà non possiede!
Le sue azioni sono naturalmente dirette verso uno scopo egoistico, basso e mondano. Desiderosa di ottenere lo scopo desiderato, e nel contempo preoccupata di non riuscire a raggiungerlo, questa persona egoista è costantemente dilaniata dalle due forze opposte di attrazione e repulsione. Questa tensione è chiamata “febbre mentale” in questo verso; il saggio è libero da questa tensione o febbre, sapendo che la volontà divina è fatta qui. E’ libero da desideri personali, è centrato nel Sé o ātman ed è libero, pacifico e beato.
Ma non è centrato su di sé, nel senso di essere egoista, anche se per questo s’intende che è interessato a fare il suo dovere. Il Sé non è un oggetto, è il soggetto universale; la mente non lo conosce. Il pensiero… l’attenzione… e, infine la consapevolezza cercano il Sé. Il centro, il soggetto. Questa è la meditazione, questa è “la mente centrata sul Sé”.