Yoga Sutra II. 10-15


II. 10                      te pratiprasava heyāh sûkşmāh

   Queste fonti di dolore psichico sono nascoste, e da non confondere con le loro manifestazioni esteriori come simpatie e antipatie, abitudini (buone e cattive), vanità e simili caratteristiche della personalità. Ad ogni modo, queste fonti sottili di dolore psichico possono essere annientate risolvendole ognuna nella propria causa (o confrontando ognuna di esse con il suo vero opposto).
Queste cinque fonti di sofferenza, agitazione o distrazione sono sottili nella loro essenza e si rivelano attraverso numerose e differenti manifestazioni; sembrano essere nascoste, solo perché non sono in vista, ma è possibile lavorare su di esse occupandosi delle origini individuali di ciascuna. La paura, per esempio, può sembrare derivare da cause esteriori, ma le sue radici sono dentro di noi; se abbiamo la paura nel cuore, anche degli arbusti sembrano fantasmi, di notte. Anche l’attrazione e la repulsione sono molto sottili; si tende a razionalizzarle dicendo che si è attratti verso una ragazza perché è bella ma, prima che sorga il pensiero che lei sia bella, ce n’è un altro che dice, “mi piace”. E’ bella perché ti piace e ti piace perché è bella. Quale viene prima? Allo stesso modo: hai paura di lui perché è cattivo o lo consideri cattivo perché hai paura?
L’amore va in cerca di un oggetto da amare, se hai l’amore nel cuore trovi tutti belli. La paura va in cerca di un oggetto di cui aver paura; se c’è la paura nel tuo cuore è quella paura che si proietta all’esterno e crea oggetti di cui hai paura[1].
Nelle tenebre o nell’ombra dell’ignoranza c’è la sensazione che questo disturbo è causato da quel fattore. Afferra quel fattore e con un approccio razionale vedi che questa non è la causa della tua sofferenza; allora hai eliminato uno strato e ti è possibile vedere il successivo. Se le cause del disordine psicologico vengono affrontate in questa maniera, con un po’ di pazienza, è possibile per ognuno, partendo dal punto in cui si trova, raggiungere la causa ultima del disturbo psicologico, e questa è l’ignoranza. Sin dall’inizio si trattava dell’ignoranza, ma nell’ignoranza stessa uno assume che la causa di quella sofferenza sia qualcos’altro.
L’ignoranza genera dolore in ogni campo della nostra vita, contaminando pensieri, sentimenti, emozioni, espressioni ed esperienze. (In uno stadio vengono chiamati pensieri ed in un altro emozioni, esperienze o espressioni, ma basilarmente sono il risultato di queste cinque fonti di dolore psicologico o distrazione). Queste cinque fonti di dolore, quando la loro sorgente è realizzata, cadono via come quando un serpente lascia cadere la sua pelle. Cercate di afferrare il problema così com’è, procedete passo dopo passo, ritracciando ogni manifestazione alla sua causa, senza assumere né rigettare niente e alla fine realizzerete che si trattava solo di una beffa.
Se assumete che la causa giace nascosta nel subconscio e vi sottoponete all’ipnosi, di nuovo fallite, perché non avete studiato il problema un passo per volta. E’ possibile che la paura del buio derivi da un avvenimento accaduto nell’infanzia, ma procedete un passo per volta per trovare la causa immediata e trattate con quella.
La causa immediata di quella sofferenza o difficoltà è andata via; ma, se siete svegli, potete penetrare in profondità e scoprirne la causa originaria ed eliminarla lì. Se dirigete una pila elettrica su un’ombra, l’ombra non è compresa, non è vista proprio! Quella stessa è illuminazione. Se uno può dire senza il minimo dubbio: “Io so che significa l’ignoranza”, c’è conoscenza. L’ombra è illuminata, il sé è illuminato, la verità è realizzata.

II. 11          dhyāna heyās tad vŗttayah

Sia nel caso in cui questi elementi di dolore psichico sono solo piccole onde sulla superficie della sostanza mentale, che quando diventano manifeste e operative, esse possono essere annientate con la contemplazione.

Per mezzo della meditazione, si va fino alla radice fonda‑mentale, avidyā. Quando la luce della meditazione o della consapevolezza di sé splende su quello che sembrava il principio da cui questi sintomi di dolore psicologico sembravano emanare, non trovate niente. Quel niente prima era chiamato ignoranza. Niente è apparso, niente è scomparso, ma una chiara comprensione è sorta.




II.12.  kleśa mûlah karmā ‘sayo dŗştā adŗşta janma vedanīyah

   Tutte le azioni mantengono con le cinque cause di dolore o turbamento psichico una mutua relazione causa-effetto, sostenendo così un circolo vizioso; perciò, le azioni conducono alle afflizioni (nozioni del senso dell’ego) che si manifestano nell’ovvia vita fisica come esperienze di piacere, dolore, ecc, e anche negli stati mentali sottili (simpatie e antipatie), qui in questa vita attuale o in altri stati di vita non così ovvi - e tali afflizioni (il senso dell’ego e l’ignoranza) generano ulteriori azioni. Però, non è necessario che questo sia per sempre così; poiché da questi effetti la causa può essere conosciuta, e la causa-radicale resa inoperante.
Se l’ignoranza della propria vera identità è la causa di tutti questi problemi psicologici, come può assumere tutte queste forme diverse? Come può addirittura far sorgere una nozione di conoscenza? Voi dite: “Io so che lui è buono, perciò lo amo”. E’ anche questo frutto della mera ignoranza? Può l’ignoranza apparire come conoscenza o bontà in un’altra persona? No. La tua comprensione agisce immediatamente, cosicché, da quel momento in poi c’è uno stato di confusione in cui l’una alimenta l’altra. Tu pensi che una persona è buona, l’ami e, quando l’ami pensi che sia una persona migliore e così via. Quando pensi che una persona è indesiderabile la odi, non desideri la sua compagnia, e man mano che te ne allontani, pensi sempre di più che sia indesiderabile. Da lontano sembra ancora peggiore, perché non vedi più neanche un lato positivo! Il primo malinteso che lui sia indesiderabile ti fa aver paura, terrore di lui, ti porta ad odiarlo; in base a questo, mentre ti allontani vedi in lui delle qualità sempre peggiori: è così che crescono i pregiudizi.
Continuando ad esprimerti in base al pregiudizio e all’ignoranza, quest’espressione dei tuoi pensieri ed emozioni rafforza l’ignoranza stessa, rendendo il velo più spesso e pesante cosicché le tue azioni successive diventano sempre più grossolane.
Le azioni che sorgono da quella personalità grossolana, diventano ancora meno buone e, naturalmente, avrai un ritorno di negatività che ti renderà ancora peggiore. (Questo potete comprenderlo molto facilmente, se osservate qualche relazione nella vostra stessa vita).
Non c’è sollievo? Solo quando contemplate questo ciclico, incessante disastro vi rendete conto quanto misericordioso e saggio e che tipo in gamba dev’essere Dio ad aver introdotto l’avvenimento chiamato morte! Quella sì che mette fine a questa degenerazione progressiva.
Quando osservate il corso della vita (che sia ovvio o meno) avete l’intuizione della verità che state in ogni momento rafforzando o indebolendo le fonti della vostra sofferenza, del vostro dolore e, a seconda che queste siano rafforzate o indebolite, il vostro comportamento comincia a cambiare.
Patanjali usa il singolare – mûla – una radice, l’ignoranza. Essendo quest’ignoranza una non-entità (come l’oscurità), diventare consapevoli è l’unico modo per eliminarla. Per esempio, è detto nello Yoga Vāsistha: “Quando il sole sorge, dove vanno le tenebre?” Allo stesso modo, quando c’è l’illuminazione, cos’è chiamata ignoranza e dove va?
Esaminando qualunque esperienza che fate o qualunque espressione della vostra personalità, è naturale che la causa immediata appare come la causa reale, ma non è così.
Noi nella nostra saggezza suprema (terrena) pensiamo di poter in qualche modo superare il nostro dolore o la nostra stoltezza semplicemente manipolando la causa immediata; se pensate d’essere infelici a causa di qualcuno o qualcosa, cercate di manipolare quello. Se pensate che andare in paradiso è la maniera di assicurarvi la felicità, ancora una volta lavorate su quello, facendo delle preghiere e praticando dei rituali religiosi. State soltanto trattando con quelle che la mente suggerisce come cause immediate o fonti della vostra infelicità; è questo che facciamo normalmente. Lo yogi suggerisce qualcosa di diverso: prendete quell’opportunità per seguire le tracce di quel problema fino alla sua causa originale. Senza mettere in discussione il normale approccio a questo problema di felicità ed infelicità, che chiede di prendere provvedimenti di rimedio, come la bontà, la carità, una vita etica e morale e la pratica religiosa, per liberarsi di problemi immediati, lo yogi dice: “Fa uso di quell’opportunità per scoprire la causa efficiente”.
Nello Yoga Vāsistha viene esposta una dottrina davvero eccezionale: “Non potete in alcun modo separare l’azione dall’uomo. La persona e l’azione sono inseparabili”.
Il comportamento scaturisce dal tuo stesso essere, come puoi separarlo? Si può trattare il problema con una chiara comprensione della sua causa immediata, come l’indigestione può essere immediatamente posta in relazione alla cena pesante della sera; una volta compresa questa relazione, eliminate la causa immediata evitando l’effetto immediato. L’indigestione scompare digiunando il giorno dopo, ma non avete eliminato la potenzialità dell’indigestione che è legata all’esistenza stessa dello stomaco o del mangiare! Similmente, pur avendo eliminato l’effetto immediato, non avete eliminato la fonte; è ancora lì in forma invisibile. Come la distruggete dalla radice?

II.13.  sati mûle tad vipāko jāty āyur bhogāh

Finchè le radici di questi disturbi psichici esistono, generando le loro conseguenti azioni, la loro espansione e fruizione sono inevitabili. La loro fruizione ha luogo in diverse vite, forse in diverse specie, e in diverse esperienze. Tale fruizione è perciò un indice certo del persistere dell’ignoranza spirituale e della sua progenie che sono la fonte della tristezza.

Finché c’è la radice, questa genera l’azione, che possa essere chiamata virtù o vizio, e quell’azione modificherà (non eliminerà) la causa del problema psicologico, non la sua fonte originaria. Il motivo di un turbamento psicologico continua a cambiare: adesso ti piace qualcosa che prima ti dava fastidio e non ti piace più qualcosa che prima ti era gradita. Puoi continuare a metterci le mani e modificarlo, senza mai liberartene.
Finché esiste la quintuplice radice, sei ancora in questa zona di pericolo; da essa scaturiranno azioni fisiche, mentale e verbali che lasceranno le loro impressioni chiamate samskāra: queste samskāra desidereranno a loro volta la loro espressione e la catena sembra interminabile.



II.14.  te hlāda paritāpa phalāh punyā apunya hetutvāt

   Queste esperienze che sono i risultati della virtù e del vizio sono i frutti dolci e amari (causanti felicità e tristezza rispettivamente) che s’incontrano lungo tutto il corso della vita.
A volte le azioni sono chiamate virtù, a volte vizi e portano frutti a volte visti come gioie, a volte come dolori: finché le loro radici rimangono, queste agitano la coscienza e quest’agitazione genera l’azione – tanto mentale che fisica – che inevitabilmente porta alle esperienze. Già mentre pratichi quelle azioni, stai gioendo o soffrendo, per cui, il frutto delle azioni non è solo nel futuro ma anche nel momento stesso.
Le tue azioni sono a volte virtuose, a volte viziose e ti danno ora gioie e ora dolori – non necessariamente secondo questa distinzione. A volte pensi di star facendo una cosa buona e ti affatichi: è doloroso. A volte, quello che la tradizione o la cultura dicono che non è buono, sembra essere molto piacevole.
Una verità, però, è incontrovertibile: finché quest’ignoranza, il senso dell’ego, le attrazioni, le repulsioni e l’attaccamento alla vita continuano, vivrai un tipo di vita individuale, imprigionato in una personalità, che è proprio il risultato dell’idea di un “io” separato! Finché queste cinque fonti di dolore psicologico persistono, continueranno a generare azioni e le azioni hanno come risultato esperienze ed effetti immediati e a lungo termine.
La vita è un flusso continuo. Quando riesci a congelarla, per capire se quello che è successo un po’ di tempo fa ha avuto effetti buoni o cattivi? Il bene si alterna al male e il male al bene. Il bene può scaturire dal male e il male dal bene! Perciò gli yogi non discutono molto seriamente sul problema del bene e del male, perché un’azione - che sia apparentemente buona o apparentemente cattiva - è sempre un’azione, e come azione ha come risultato l’esperienza immediata che può condensare o assottigliare il velo dell’ignoranza, e un effetto a lungo termine, che torna da te come ulteriore esperienza che, ancora una volta, puoi chiamare piacere o dolore.

II.15.  parināma  tāpa samskāra duhkhair gunavŗtti virodhāc ca duhkham eva sarvam vivekinah

   Ad ogni modo, i saggi (benché la loro mente sia totalmente libera da qualsivoglia afflizione) considerano dolorosa ogni esperienza, essendo tutte frutto delle azioni dell’ignoranza. Gli stessi piaceri sono accompagnati dalla triste realizzazione d’essere soggetti a cambiamento. Un costante, prepotente e doloroso desiderio di ripetizione dell’esperienza piacevole, in un vano tentativo d’impedire il cambiamento, riempie di dolore l’intervallo. Tutto questo lascia nella mente un’impressione duratura che, a sua volta, crea la triste tendenza a desiderare di evitare il dolore che, in questo modo, è il solo ad essere continuo. C’è poi un costante conflitto interiore, che accompagna il cambiamento d’umore psicologico, con ogni modificazione della forma di pensiero nella sostanza mentale; quel conflitto stesso è dolore.

Per la persona che si è risvegliata a questa verità, l’intera vita e tutto nella vita è infelicità, dolore. Dovunque c’è attività mentale e dissipazione d’energia, dovunque c’è movimento disordinato del pensiero, c’è infelicità. Persino quello che l’uomo comune considera felicità – piacere, prosperità, gloria, successo – diventa doloroso per la persona risvegliata. Questa persona non cercherà di scoprire un’ipotetica fonte esterna della sua infelicità, e neanche cercherà d’identificare quella che lui chiama infelicità dentro di sé, essendo tale conoscenza parte dell’ignoranza.
Il tempo passa, tutto cambia; se sembri felice ora, anche quello è contaminato dall’infelicità, perché c’è un riconoscimento (che sia a livello conscio, inconscio o subconscio) che sta passando. Ti annoi con la stessa felicità, ripetuta spesso: anche in quella noia c’è infelicità. Questo vuol dire che o cambia il mondo esterno o cambia l’io; il cambiamento è inevitabile. Anche la felicità subisce questo cambiamento e quindi deve finire.
Ciò che è soggetto a cambiamento ha solo un contenuto, che è il dolore. Quella che è chiamata felicità è entrata, sembra averti dato del piacere all’inizio, poi è sorto il sospetto che poteva andare via e ti ha reso più ansioso di mantenerla. Il desiderio è aumentato, lo sforzo per mantenerla è aumentato, ma il piacere non è aumentato. L’ansia di perdere la felicità è tormento, lo sforzo per trattenerla è sofferenza e il desiderio di prolungarla è dolore; perciò, anche se chiamiamo alcune esperienze piacevoli e altre dolorose, la vita è piena di sofferenza.
Fino a quando queste fonti d’angoscia continuano ad esistere, uno deve vivere anche nel dolore: rendendosi conto che così è la vita, si ha come effetto immediato la cessazione dell’inseguimento del piacere. Il corpo umano è dotato della capacità di sentire il piacere che è naturale, e questo piacere spontaneo scorre lungo il fiume della natura; senza che tu lo cerchi, viene da te.
C’è uno stato psicologico che viene chiamato dolore ed uno stato psicologico che viene chiamato piacere. Invece di cercare ulteriori parole per descrivere questi stati psicologici (poiché ogni stato non è che un aspetto limitato) lo yogi tenta di osservare e di “scoprire”, nel senso più puro, semplice e letterale della parola, di “togliere il coperchio”. Quando togli il coperchio non anticipi ciò che troverai; qualunque cosa può venir fuori.
Invece di esaminare o analizzare, dovresti osservare le esperienze vissute dalla mente e gli stati mentali prodotti dalla tua vita quotidiana, di momento in momento, che siano chiamati piacevoli o dolorosi. Chiedi a te stesso tre cose a riguardo:
·        Qual è il contenuto di ognuna di queste esperienze?
·        Cos’è che reagisce a questa esperienza e la chiama dolore o piacere?
·         Chi è il soggetto dell’esperienza?

Queste sono le tre domande per le quali lo yogi cerca delle risposte.

Uno che persegue quest’inchiesta, immediatamente scopre un altro problema. Il pensiero con il quale quest’inchiesta era cominciata crea un’attività mentale sua propria, che è ancora un’altra distrazione. Puoi porre fine a una distrazione, senza esserne distratto? Puoi neutralizzare la violenza senza essere violento con te stesso? Come fai? C’è una distrazione nella mente; puoi fermare quella distrazione senza lo sforzo per fermarla? Purtroppo quello sforzo si aggiungerà alla distrazione, invece di abolirla, perché ora un’altra bella pila elettrica si siederà lì a discriminare: questa è la direzione giusta, quella è la direzione sbagliata, per cui, ancora una volta, la mente è attiva. Ecco che la ricerca stessa sta producendo distrazione e tensione psicologica.

[1] Questo è ancora più evidente, quando vi sono tumulti razziali o religiosi. E’ ben evidente che i rivoltosi non sono interessati a scoprire la verità, ma che hanno dentro una certa paura, emozione o agitazione e agiscono ciecamente, trasportati da questi sentimenti.