Conferenze sullo YOGA VĀSIŞŢHA
Discorso 10
Swami Venkatesananda, Perth 1982
Abbiamo visto la tragica bellezza della caduta
dell'Intelligenza; sembra essere così semplice, tanto semplice quanto
addormentarsi, per una persona intelligente, perdere (apparentemente) tutta
quell'intelligenza, diventare stupido e comportarsi in maniera assolutamente banale.
E' così semplice e, come ho già suggerito, uno può osservare questo in se
stesso, ogni mattina al risveglio, rimanendo un pochino all’erta: ovviamente
non è facile rimanere completamente vigili, sareste illuminati, dei Buddha! Se
rimanete anche solo un po’ all’erta, potete almeno divertirvi a vedere come la
discesa nel degrado, ha luogo. La caduta di Adamo avviene ogni mattina, dal momento
che uscite dal sonno, quando c’è solo un seme, che uno non sa neanche di che si
tratta, e poi, gradualmente espande in “me, il mio corpo, il mio letto, la mia
stanza…”. Vedere il modo in cui quello che originariamente è una cosa convenzionale,
qualcosa che è conveniente per rendere la nostra vita più facile… “Qual è la
tua sedia?” “Ah, questa è la mia sedia!” Non c’è problema nel dirlo, ma quest’espressione
che viene introdotta semplicemente per rendere la nostra vita un po’ più
comoda, conveniente, in qualche modo diventa una realtà ed in questo modo, ciò
che pensiamo di possedere, lentamente…
sbadiglia… e immediatamente ne diventiamo posseduti. Questo è un
avvenimento quotidiano, non c’è nulla di speculativo a riguardo, niente di
filosofico, se uno è … e non c’è dietro alcun dogma, teoria o dottrina, potete
vederlo ogni giorno quando vi svegliate.
L’altro giorno abbiamo anche visto che in quello che
consideriamo lo stato di veglia, qualcosa dorme profondamente. Quando il mondo
è ben sveglio nella vostra consapevolezza, il sé dorme, cioè, la coscienza di
sé dorme, non sapete cosa siete, quando siete molto impegnati ad investigare su
cos’è qualcos’altro o chi è
qualcun’altro.
Quando il mondo è sveglio, la coscienza di sé dorme ed
in quello che è conosciuto come sonno profondo, c’è un’intelligenza che è
sveglia; non sappiamo se è o non è la conoscenza di sé, non abbiamo idea, c’è
un’intelligenza che è sveglia nel sonno profondo, anche se il corpo ed una
parte del cervello dormono profondamente. Questi due sono molto simili a 360° e
0°. C’era un grande yogi in Tibet chiamato Milarepa, che in uno dei suoi bellissimi
canti fa notare come vi sono due stati completamente opposti, i quali
somigliano molto e ai quali dobbiamo fare attenzione: la devozione al guru, per
esempio, e la mentalità da schiavo possono somigliare, state attenti! Il sonno
ed il samadhi possono essere molto simili, fate attenzione! La follia e
l’illuminazione possono essere simili: fate attenzione!
Di nuovo qui troviamo che questi due estremi: da un
lato lo stato in cui dormite, per così dire, bija jagrat, con solo il seme del
sorgere potenziale del mondo, e all’altro estremo lo stato nel quale siete
completamente addormentati, ma non fisicamente, non mentalmente, l’intelligenza
dorme ed il mondo e tutte le allucinazioni diventano, per così dire, reali.
L’una è dovuta all’operare dell’intelligenza, l’altra è dovuta all’ignoranza,
perché nel sonno profondo, queste due, dormono insieme! Una potente
intelligenza e la totale ignoranza, dormono insieme nel vostro sonno!
Come fa uno a distinguere tra i due? Anche nel nostro
stato di veglia, come ci assicuriamo che, invece del seme del mondo, sia
l’intelligenza a svegliarsi? Qual è la differenza tra l’ordinario risveglio
quotidiano, in cui il seme della percezione del mondo si risveglia insieme a
noi, ed il risveglio dell’intelligenza, in cui qualcos’altro si sveglia? Qual’è
la differenza? La differenza, per dirlo in maniera oltremodo semplificata è che
quando l’intelligenza si sveglia, il mondo ed i vostri pensieri, le vostre
immaginazioni, le vostre allucinazioni, le vostre opinioni e persino i vostri
pregiudizi vengono visti per quello che sono, e vivete intelligentemente:
seguite le convenzioni, certo, perché no, seguite la condotta sociale del luogo
in cui vivete (proprio come, se andate in un paese freddo vi mettete un
maglione e se andate in un paese caldo ve lo togliete!). Non c’è bisogno di
chiamare queste cose conformismo o anticonformismo. Non c’è proprio nulla
dietro. Semplicemente, diventate consapevoli di ciò che accade intorno, e agite in accordo con quel posto. Ma siete consapevoli
che questa è solo una convenzione e non contiene la verità.
Quando invece l’ignoranza governa, per voi quella che
era diventata una necessità per motivo di convenienza o convenzione, diventa la
verità! Allora tu pensi davvero che questa sia la tua sedia! Vai al bagno e
quando torni, qualcun altro ha preso il tuo posto. Quando l’intelligenza è sveglia, la guardi e pensi:
“Veramente
non è la mia sedia: mi sono seduto lì e,
quando qualcuno mi ha chiesto se era la mia sedia, ho risposto di sì o, se voleva
sapere qual’era la mia sedia, ho indicato questa ma, quando qualcun altro vi si
è seduto, è già diventata di quell’altro, non è più mia! Era mia per una sorta
di convenzione. Così, non devo andare in guerra, per riconquistare la mia
sedia!”.
Ma, quando l’ignoranza governa, darete a queste realtà
convenzionali, lo stato di verità assolute, combatterete per esse, combatterete
per delle cose stupide. La mia opinione, il mio punto di vista, il mio concetto
di Dio o quella che io ritengo sia l’unica vera religione in questo mondo.
Combattete, uccidete! Dev’essere proprio la vera religione, perché vi uccide
tutt’e due! Questo è l’unico banco di prova per distinguere l’operare
dell’intelligenza e l’operare dell’ignoranza.
All’ombra dell’ignoranza, nelle tenebre
dell’ignoranza, ciò che era stato assunto a scopo di convenienza, che era
un’opinione, un’idea, diventa più valido della realtà, diventa una verità; quando invece opera l’intelligenza, c’è
un’investigazione e l’intelligenza vede chiaramente che queste sono convenzioni
e che non hanno lo stato della verità. Nello stesso tempo, uno vede nella
propria vita che, mettiamola così, l’operare dell’intelligenza non fa sorgere
problemi, non crea disarmonia dentro di sé o tra se stessi e l’ambiente
intorno. L’operare dell’intelligenza non crea alcun problema e, se questo
accade, fate attenzione: c’è un miscuglio tra intelligenza ed ignoranza. Dove
opera l’ignoranza, devono esserci problemi: problemi, disarmonia, conflitto,
violenza. Tutti questi sono discendenti diretti dell’ignoranza.
Ora il viaggio di ritorno: come torniamo ad uno stato
d’intelligenza risvegliata. Come risvegliamo quest’intelligenza, quando si è
allontanata dal suo centro, disperdendosi nel mondo che abbiamo creato la
mattina presto, che si è allontanata così tanto dal centro, che il mondo sembra
una solida realtà. Quest’intelligenza dorme profondamente: come torniamo alla
sorgente?
Devo prima avvertirvi che, nonostante la caduta e ora
il ritorno siano stati delineati in sette stadi, Vasistha stesso nei suoi
insegnamenti non riconosce seriamente una procedura o tecnica per stadi. Se in
questi due casi, un tipo di tecnica o procedura è stata insegnata, questo è
solo perché lui non aderisce ad alcuna dottrina particolare. Per lui è “né
l’una né l’altra”. Vi sono delle tecniche? No. Non vi sono tecniche? Ah, sì,
sì. Non vi sono assoluti eccetto l’assoluto stesso. Qui, di nuovo, quelli di
voi che hanno studiato lo Yoga Vasistha, avranno incontrato questi stadi
menzionati in due posti e le descrizioni sono leggermente differenti. Anch’io
le ho lasciate deliberatamente in uno stato di confusione, semplicemente per
indicare che non vi sono assoluti, che qui non c’è un dogma, che non c’è un
sistema filosofico. Se siete interessati andate avanti, investigate e forse
troverete degli stadi, o forse ne potrete saltare due e farli diventare cinque;
forse avrete bisogno di un paio di gradini in più o uno e mezzo, o due e mezzo,
va bene.
Il primo è Śubheccha
che vuol dire desiderio puro, sacro, di lieto auspicio. Sto traducendo la
parola alla lettera: Śubha vuol dire
puro, buono, Icchā vuol dire
desiderio. L’intero Yoga Vasistha, questa scrittura enorme, monumentale, ha
almeno una frase per pagina che insiste sull’abbandono dei desideri: tutti i
desideri sono pericolosi, e qui śubheccha:
devi avere śubheccha. Perché? Per la
semplice ragione che, così come il cieco accettare di un dogma o dottrina è
distruttivo per l’intelligenza, il cieco rigettare è ugualmente pericoloso.
Vedete il fattore comune in entrambi? Cieco accettare e cieco rigettare: qual è
il fattore comune? La cecità. Quello che stiamo cercando di fare qui è di
risvegliare l’intelligenza. Non potete risvegliare l’intelligenza con qualunque
approccio cieco, cieco accettare o cieco rigettare. Queste sono due strade che
convergono in un punto comune, un vicolo cieco. Oh, ma il desiderio è un male!
Aspetta un momento: quale tipo di desiderio? Ti conduce verso un risveglio
dell’intelligenza o ti allontana dalla conoscenza del sé? Se ti allontana dalla
conoscenza del sé, non è buono, lascialo. Se ti porta verso il risveglio
dell’intelligenza, perché no? Vai avanti.
L’esempio dato è quello del fuoco. Se volete
distruggere un mucchio di vecchi giornali o dell’immondizia gli date fuoco per
distruggerli, ma se volete fermare quel fuoco, cosa fate? Niente, aspettate;
quando quel fuoco avrà distrutto l’immondizia, si spegnerà. Quella è la natura
di śubheccha o desiderio di lieto
auspicio. Un desiderio buono per la realizzazione di sé, la realizzazione di
Dio, la conoscenza del sé, satori, samadhi, perseguirà quello scopo,
riducendo in cenere tutti gli ostacoli che si presentano lungo la tua strada e,
avendo raggiunto lo scopo, si estinguerà da solo. Se non si estingue, non era
un desiderio buono… Non bisogna perdere di vista questo fatto. Se quel
desiderio infine non si estingue da solo, non era il giusto tipo di desiderio e
ti guiderà lungo dei canali sbagliati.
Śubheccha. Ma, qui c’è un problema: come si coltiva śubheccha? E’ qualcosa che si può
acquisire? E’ qualcosa che si può comprare? E’ qualcosa che si può imparare da
libri e guru? Possiamo impararlo da qualcun altro, il puro desiderio? A parte i
desideri puri, penso che neanche quelli impuri possano essere imparati da
qualcun altro. Se non amo il whisky, mi puoi far desiderare tu il whisky? Può
l’amore essere appreso da qualcun altro? No. Allora, non solo i desideri buoni,
ma nessun desiderio può essere impartito; puoi creare le condizioni necessarie
perché lei s’innamori, tutto qui, ma se lei dice no, è no, mi dispiace, è
andata male.
Come sorge allora śubheccha,
se non può essere acquisito, se non può essere appreso, come sorge? Stavo per
dire che questa è una domanda da sei milioni di dollari… Ma non credo neanche
che si possa ottenere con tanto. Non c’è risposta e, chiunque abbia avuto a che
fare con questa domanda ha astutamente, invariabilmente ed in maniera molto
erudita evitato la questione e ci ha confusi in maniera così deliziosa, che noi
prendiamo la risposta per scontata. Come sorge nel cuore dell’uomo un desiderio
sacro, così puro? «Oh, un giorno,
uno comincia a pensare», dice il Buddha,
dice Vasistha, «Perché dovrei
vivere come uno stolto? Perchè continuare a soffrire, il dolore, l’agonia, le
frustrazioni? Perchè non mi affido ai maestri e ottengo la realizzazione del
sé?». Il mio guru Swami Sivananda un giorno cantò: «Quando ricevi calci e pugni nella battaglia quotidiana
della vita, allora la tua mente si rivolge verso il cammino spirituale».
Ma ho visto molte persone che vengono colpite da calci
e pugni: non si volgono verso la vita
spirituale. Supponiamo che a qualcuno viene diagnosticato … un cancro al polmone! A chi pensa? Pensa a Dio
o al chirurgo, allo specialista? Supponiamo che uno venga derubato di tutti i
soldi: pensa a Dio? “Oh questo è il mondo, il mondo in cui ( vedi la Bibbia) deposita i soldi in
un'altra banca…” Investi in beni spirituali in paradiso. Pensate così o pensate
“Mio Dio, come faccio a mettere da parte
altri soldi adesso… per recuperare quello che ho perduto?” Cioè, l’infelicità,
la povertà, la malattia, il disonore, la sofferenza, necessariamente volgono la
nostra mente verso Dio? No, non ci sono generalizzazioni in questo strano
mondo, non ci sono assoluti in questo strano mondo. Alcune condizioni volgono
la mente di alcuni verso Dio e di altri in direzione completamente opposta. Vi
sono degli yogi benestanti, vi sono dei poveri delinquenti, vi sono degli yogi
malati, e dei delinquenti malati; niente sembra poter essere generalizzato. Quindi,
dire che il mero fatto che la nostra vita è afflitta dal dolore e dalla povertà
è sufficiente a far sorge śubheccha o
puro desiderio in noi, non è corretto.
Poi c’è un'altra grande affermazione, che si trova
negli insegnamenti del Buddha e di altri
grandi uomini, incluso Vasistha. Un giorno vai in un satsang e lì in quella santa compagnia, la tua mente è trasformata,
ma perché vai in un satsang? Se non
c’è un risveglio spirituale in te, perché vai in un satsang, perché t’interesserebbe qualcosa di diverso dal bere e
divertirti o dal continuare ad andare avanti con la tua vita meglio che puoi?
Potresti anche adornare quella tua dottrina con la convinzione che si tratta di
qualcosa che Dio ha voluto, “Dio mi ha fatto nascere, in modo che possa bere
questo succo d’arancia; Dio mi ha dato
una posizione nella società, Dio mi ha dato una famiglia e lavorare per loro e
fare tutto questo è un dovere che mi viene da Dio”. La maggior parte di noi fa
questo, anche coloro in cui c’è una domanda (agli altri non importa), in cui
c’è stato anche un piccolo risveglio di consapevolezza, tendono a
razionalizzare la loro vita e qualunque cosa stanno facendo e continuano così;
perché dovrebbero essere ispirati ad investigare il significato della vita?
Come ho detto in precedenza, possono anche inventare
motivi e scopi di questa vita e vanno
avanti, l’unica cosa che potrebbe veramente scuoterci nei punti vitali, la
contemplazione della morte, l’abbiamo messa da parte in maniera completa e
totale. Suppongo che se ne comincio a parlare, la maggior parte di voi si alza
e se ne va: è un tipo di conversazione indecente. Quella è l’unica cosa che può
riportare un po’ di saggezza nella nostra testa, per tutto il resto abbiamo delle risposte,
delle dottrine e dei concetti tutti ben preparati e impacchettati. Quindi,
perché andiamo ad un satsang, a meno
che non ci sia un dubbio dentro di noi?
Il dubbio è un altro strano fattore psicologico; il dubbio
di per sé ha due aspetti. Nel primo
dici: “Ah, sono tutte stupidaggini!”
Getti tutto via e te ne vai; consideri tutti questi insegnamenti come cose
inutili, dubiti sulla loro stessa validità. In questo modo l’insegnamento è
perso. L’altra forma di dubbio è : “Sembra
essere vero, ma come si relaziona con la vita?” Sembra essere vero, ma non
riesco a porre quell’insegnamento in relazione alla mia vita. E’ possibile
vivere in maniera intelligente? Quel dubbio porta a continuare ad indagare sul
significato della vita.
Perciò, tutti questi valori possono essere rilevanti,
ma… la domanda da sei milioni di dollari rimane senza risposta. Come sorge quel
desiderio? Vado al satsang. Perchè ci
vai? Perché ho dei dubbi. Ma, se hai dei dubbi potresti lasciar perdere tutto…
ah, è la grazia di Dio. Quando non puoi rispondere, ci metti di mezzo Dio e
dici che è per grazia di Dio! Forse questo è vero. Se quella cosa misteriosa
chiamata grazia c’è, allora è possibile che un articolo di giornale ti può
portare al risveglio, neanche una sacra scrittura; ti può capitare qualcosa,
mentre cammini. Qui non si usa, ma in India se vai in un negozio, a comprare
della canfora per esempio, a volte prendono un foglio di carta stampata, ce
l’avvolgono e te la danno. Quel foglietto potrebbe essere stato preso da un
vecchio libro che qualcuno aveva gettato via: leggendo quella pagina potresti
risvegliarti spiritualmente, o qualcuno sull’autobus sta chiacchierando e una
sua frase udita per caso, può risvegliarti. Solo attraverso la grazia!
Perciò, Vasistha comincia lì, con śubeccha, il primo passo è una pia risoluzione, un desiderio puro,
un desiderio sacro, un desiderio d’investigare la vita, il significato della vita,
d’investigare la trappola da noi stessi costruita e nella quale siamo
deliberatamente entrati considerandola sicurezza, considerandola la verità. Non
andremo a rigettarla, non andremo a disfarcene, non andremo a seppellirla,
andremo ad investigare su di essa con una mente aperta. Perché questo desiderio
puro sorga nella propria mente la grazia è necessaria, quello è il primo passo.
Vichārana – questa è una delle parole preferite dagli yogi,
soprattutto dagli jnana yogi, quelli
che si dedicano al sentiero della saggezza ma sfortunatamente, non ha
equivalenti nella nostra lingua, è generalmente tradotto come “inchiesta”, ma
non è un’inchiesta da fare presso un’agenzia d’informazioni. E’ stato tradotto
come “investigazione”, ma non è un’investigazione scientifica, perché non è
qualcosa che sia all’esterno. Non è “analisi”, analisi significa spezzettare,
dividere, non è alcuna di queste cose e temo che non vi sia una maniera di
evitare questo problema. Ma mentre andiamo avanti, forse la capiremo.
Cos’è che dà inizio a vichāra, qualunque cosa essa sia? Il fatto che ci sentiamo
intrappolati, il fatto che ci sentiamo legati, il fatto che abbiamo esperienza
dell’infelicità e ciò nonostante non siamo in grado di esibire, di mostrare
quest’infelicità; se qualcuno vi chiedesse: “Fammi vedere quest’infelicità, te
la porto via”, non siamo in grado di esibirla. Voi dite: “Questa è la mia
opinione”, datemi quell’opinione, la prendo io, così sarete liberi! Non siete
in grado di esibirla. Nel caso del dolore fisico, forse è possibile per un
medico o un infermiere diagnosticare e dire, che sì, quel muscolo è teso o
quella vertebra è schiacciata o che c’è un ascesso o un’ulcera da qualche
parte.
Quando parlate di qualcosa di psicologico, come la
tristezza o l’angoscia, che è un milione di volte peggiore di un mal di testa,
dov’è e che cos’è? Quando chiedete queste due domande a voi stessi (sono
sopraffatto dal dolore o dalla paura, sono terribilmente infelice, se vi
chiedete in quel momento: “Dov’è questa tristezza e che cos’è questa tristezza?”,
quello che vi accade è vichārana e
per dedicarvi a questo vichārana non
dev’esserci l’ansia di liberarsene. Se volete liberarvi di quel dolore, forse
potete andare al bar o al cinema, potete fare qualcos’altro. State allontanando
la vostra attenzione da quello che avete chiamato dolore o infelicità; se
allentate lo sguardo da ciò che avete descritto come infelicità o paura, non
potete capire che cos’è: è semplicemente così.
Quindi non c’è l’ansia di liberarsene, né c’è il
desiderio o la volontà di stringere i denti e sopportarlo, perché anche quando
avete deciso di sopportare quello stato psicologico, non lo state guardando, lo
accettate e quindi allontanate lo sguardo e vi mettete a fare qualcos’altro.
C’è una terza possibilità nella quale, senza l’ansia di liberarsi di quel
dolore, senza il desiderio di sopportarlo, vi chiedete dov’è quest’infelicità e
di che cos’è fatta? Di che sostanza è fatta quest’angoscia? So a cosa mi
riferisco quando dico che ho un’ulcera, so che significa avere un crampo
muscolare, so che cosa significa avere un dolore reumatico, tutti questi sono
facilmente diagnosticabili, so di che cosa sono fatti, i costituenti del corpo. Ma di che cos’è fatta questa cosa
chiamata angoscia, di che cos’è fatta questa cosa chiamata ansia, paura,
desiderio, che cos’è esattamente? Quando questa domanda sorge nella mente ed è
seria, non vuole addormentarsi, quello che succede alla tua consapevolezza è
chiamato vicharana. Questo è tutto
quello che si può dire, niente di più. Che succede?
E’ ben possibile che inizi con qualche esercizio
mentale, attività mentale; probabilmente comincerai pensandoci e, mentre ci
pensi, forse scopri che, a causa di un condizionamento precedente, la mente
subito comincia a saltare e ad incolpare qualcuno o qualcosa fuori: sono
infelice perché… quello ha detto che sono un idiota. Forse lo sei… vi sono
tanti nomi che possono essere strani. Conosco tanti nomi che possono essere
molto dispregiativi… Allora può darsi che quel tizio mi ha chiamato così perché
pensava che quello fosse il mio nome! Che cos’è in me che prende quella parola
o frase come un insulto e si sente offeso si sente male? Quindi, a causa di
condizionamenti del passato, uno tende a vedere da qualche altra parte la causa
della tristezza, ma vicharana la
porta a se stesso. Non so dirvi il significato di quel vicharana, dovete scoprirlo da voi.
Poi c’è l’altra possibilità: se non incolpate altri,
incolpate voi stessi, “ mi sono comportato in quel modo, perciò lui ha pensato
che ero un idiota… non avrei dovuto farlo”. Questo forse è meglio dell’incolpare
un’altra persona, perché porta l’attenzione più vicina a casa, ma non è ancora
quello che sta succedendo, perché stai guardando o investigando su una causa
supposta e non è quello che c’interessa.
Vicharana non è interessato a quello, vicharana è osservare direttamente la risposta a queste due
domande: “Dov’è quest’angoscia e di che cos’è fatto”. Non m’interessa chi ne
sia responsabile, che si tratti di qualcuno esterno o che ne sia responsabile
io stesso: è sorta, ora voglio sapere
dov’è e di che cos’è fatto. Non c’è alcun’analisi psicologica, non c’è alcun
ragionamento psicologico o razionalizzazione ma, ancora una volta, essendo
l’uomo un “animale razionale” o una creatura intellettuale, ama razionalizzare,
ama intellettualizzare, ama creare dei concetti. Vuoi razionalizzare? Siediti. - “Oh, sto così
male! Sì, Freud dice che è dovuto a tutta una serie di repressioni…” Ah? Questo
è quello che Freud dice, ma questa cosa sta succedendo a te o a Freud? “Sì sta
succedendo dentro di me”. Bene, allora, lascialo perdere. “Buddha dice…” Oh…
sta succedendo in te o nel Buddha? “In me.” Allora lascia stare il Buddha.
“Krishna dice…”.
Perciò, quando cercate di rendere in concetti o
razionalizzare la vostra infelicità o dolore psicologico e questi pensieri
vengono su, se li osservate meglio, vi
accorgete che questi non sono per niente i vostri pensieri. Non sono vostri,
sono stati piantati lì da qualcuno… dai vostri genitori o da un insegnante, da
un religioso o swami o qualcun altro, e ora vengono su; quando c’è del cibo non
digerito, se non torna su, vi sentite male. Lasciate venir fuori questi
pensieri; è meglio tirarli fuori che tenerseli dentro… la catarsi.
Quindi, una volta che li avete tirati fuori, dentro di
voi e vedendo che, “Pur avendo studiato tutta la filosofia di questo mondo, sto
ancora male!”, allora direte “ciao, ciao” a tutta la filosofia (hari om tat sat!)[1] ora
guardiamo quest’angoscia. L’angoscia è ancora lì! Il dolore, nonostante tutta
la disquisizione ed inquisizione filosofica, c’è ancora: quello che succede da
quel momento in poi è vicharana.
Avete liberato la mente o l’osservazione (non vogliamo chiamarla intelligenza a
questo stadio, anche se è una sorta d’intelligenza interiore che s’impegna in
questa osservazione o vicharana, ma
chiamiamola per il momento semplicemente “osservazione” o “consapevolezza”).
Quest’osservazione o consapevolezza è liberata dagli
altri, è liberata da voi stessi, è liberata da ogni tipo di memoria e, mentre
queste cose vengono lasciate cadere una dopo l’altra, sorge uno stadio che
Vasistha descrive in maniera bellissima: “Tanumānasī”,
la mente si assottiglia.
La mente s’era ingrossata (anche nel senso francese
del termine: grassa e gravida) perché ogni cosa che vi era stata aggiunta l’aveva
ispessita, appesantita e resa sempre più opaca e aveva assunto che tutti i suoi
pregiudizi e allucinazioni fossero reali e perciò agiva in base a questi e ad
essi si conformava. Aveva portato una
serie infinita di dolori su di sé, era diventata densa, opaca, ispessita.
Quando vichārana
ha inizio e tutte queste cose vengono lasciate cadere, “La mia tristezza non è il risultato di quello che qualcun altro fa a
me, la mia tristezza non è neanche il risultato di quello che io ho fatto e la
mia tristezza non può essere spiegata da alcuna filosofia in questo mondo – è
ancora lì” , a quel punto tanumanasi,
la mente diventa molto sottile, trasparente, limpida, c’è intensa chiarezza. La
tristezza c’è ancora, l’angoscia non è andata via, c’è ancora, ma c’è intensa
chiarezza.
Questi tre stati insieme vengono paragonati allo stato
di veglia della coscienza, per la semplice ragione che questo mondo grossolano,
che voi ed io abbiamo costruito con i nostri pensieri, è basato in gran parte su pregiudizi, come
l’idea ‘io sono questo’, ‘tu sei quello’,
allucinazioni, come il presupposto di essere relazionato a te o ad altri
in una certa maniera (per dare una definizione estremamente semplice di queste
due). Quali sono i pregiudizi? Io sono un uomo e tu sei una donna. Quali sono
le allucinazioni? Io ho questa o quella relazione con te. Che io sia Indiano e
voi Australiani, è un pregiudizio; che voi siate miei nemici o amici è pura
allucinazione: nessuna di queste cose può essere provata come realmente
esistente, eppure hanno assunto una solida realtà. In questo nostro viaggio di
ritorno, queste cose sono ancora lì, le stiamo investigando e perciò, questi
tre stadi: śubeccha, vichārana
e tanumānasa, sono ancora all’interno dello stato di veglia della
coscienza, ma in maniera differente dalla stato
di veglia descritto la settimana scorsa, in relazione alla caduta
dell’intelligenza. In che modo?
Quando la caduta ebbe luogo, l’intelligenza entrò progressivamente,
sempre di più in uno stato di sonno, cioè, ci fu un movimento di sempre
maggiore allontanamento dal centro. Era l’intelligenza che si stava
addormentando e l’ignoranza che si stava diffondendo, qui in questi tre: śubeccha, vichārana
e tanumānasa le cose cominciano a tornare verso di noi; pur essendo ancora
lì, comincia lentamente a tornare verso il centro e l’intelligenza sta
cominciando a muoversi nel letto, sul procinto di svegliarsi, ma il mondo è
ancora sveglio, la coscienza del mondo, la consapevolezza del mondo oggettivo è
molto viva, molto presente, perché è quella che stiamo per investigare.
Perciò, quella che è chiamata sofferenza in questo
mondo può o potrebbe, per grazia di Dio, produrre un certo risveglio in noi per
intraprendere quest’avventura ed è la stessa sofferenza che aiuta l’aspirante
in maniera incredibile. Delle persone a volte chiedono: “Come so come guardare
dentro?” Che vuoi dire come guardare dentro? Non hai mai avuto un dolore, un
dolore fisico? Prima guarda la sede di quel dolore fisico, non fare niente.
Anche senza usare la vista esteriore potete osservare il dolore fisico; provate
prima quello, per alcuni giorni. Poi se
non hai nessun dolore fisico, chiedi a qualcuno di pizzicarti, semplicemente
per imparare a guardare, imparare a guardare.
E’ possibile diventare consapevoli del dolore fisico
senza guardare con gli occhi: quella è la consapevolezza; di un grado
inferiore, ma va comunque bene. Poi passate attraverso ogni tipo di stati psicologici,
stati emozionali, come sofferenza, angoscia, ansia, paura e così via, la procedura
è esattamente la stessa, siediti in silenzio e ascolta:
“Cos’è mai questo che sento? Sono infelice, uh, uh
cos’è? Infelicità …”
Se quest’atteggiamento non viene adottato, persino
quella sofferenza è sprecata su di noi… Se quest’ atteggiamento viene in
qualche modo raggiunto, allora … più dolore c’è meglio è! Perché afferri una di
quelle istanze di angoscia, una di quelle circostanze d’infelicità e ne fai un
così buon uso che sarai per sempre libero dalla sofferenza!
Questa è anche la base dell’insegnamento del Buddha ed
è per questo che egli chiamò la sofferenza “Aryasattya”,
“Nobile Verità”.
La prima nobile verità è che c’è la sofferenza: perché
è nobile? Perché ti può rendere nobile, perché se impari ad osservarla, a
vedere come sorge – come sorge – non
perché sorge, a vedere come sorge, stai guardando direttamente dentro di te e
quella è già la rinascita dell’intelligenza, che ben presto sarà seguita da un
pieno risveglio spirituale, di cui discuteremo la settimana prossima.