Venkatesa Daily
Readings: 6 giugno
Patanjali, nei suoi Yoga Sutra, ci dà
diversi esercizi e descrive l’Astanga yoga. Questo è lo yoga formato da otto
membra, non gradini. Le membra che insieme costituiscono lo yoga sono yama,
niyama, asana, pranayama, pratyahara,
dharana, dhyana e samadhi.
Samadhi, esperienza diretta della verità
è, come dhyana o meditazione, anch’esso un membro del corpo dello yoga. Potrei
illudermi che, qualunque cosa faccio nella mia vita, basta che mi siedo e
medito per mezz’ora ogni mattina, possa chiamarmi uno yogi ma, questo è come se
la mia gamba amputata vi dicesse: “Io sono Swami Venkatesananda” mentre in
realtà è staccata dal corpo e non è altro che un pezzo di carne putrefatta.
Un arto non fa una persona. Allo stesso
modo, sono le otto membra dello yoga insieme che costituiscono la pratica dello
yoga. Non possiamo affermare che una parte del corpo sia più importante di
altre; uno non direbbe mai, “Mi piace molto lo swami: per tenerlo con me, mi
porterò la sua testa a casa, perché quella è la parte più importante. Il resto
posso venirlo a prendere in un altro momento”. Uno non può isolare uno dei
membri e chiamarlo yoga.
7 giugno
Secondo la filosofia yoga, un’āsana è qualsiasi posizione o postura nella quale uno è in grado di
sedersi, in maniera stabile e confortevole. Se sono seduto in una posizione
confortevole, allora è possibile che riesca ad osservare direttamente il
sorgere del senso dell’ego e, all’improvviso, di scoprire che si tratta di
un’ombra. Quando l’ombra se ne va, c’è la realizzazione dell’unità. Quando la
luce incontra un’ombra, l’ombra svanisce lasciando quello che esiste veramente,
così com’è.
Queste posture dello yoga ci sono date perché
risveglino in noi la verità dell'armonia, dell'unità dell’esistenza,
l’armonia che è insita in ognuno perché è onnipresente, cosmica; anche il
corpo funziona sul principio di quest'armonia.
Senza armonia la vita sarebbe impossibile; se comprendo questo,
comprendo le āsana dello yoga – la
loro bellezza, i loro limiti, l'intelligenza nel corpo, il linguaggio del corpo – allora, la paura
della vecchiaia, della malattia, e della morte scompaiono.
8 giugno
Cos’è che chiamate malattia? E’ in realtà il lavoro di
armonizzazione dell’intelligenza nel corpo che a volte viene frainteso per
malattia. Hai un mal di testa: ti è venuto dopo due serate in cui hai fatto
tardi e hai bevuto troppo: il corpo vuole dirti che un paio di giorni bastano! Allora ti riposi per un
giorno, l’armonia è ristabilita, l’organismo ritrova il suo equilibrio.
Mangi qualcosa che non dovevi mangiare o mangi troppo
e l’intelligenza, la forza vitale dentro di te entra in azione: crea un cattivo
sapore o delle ulcere nella bocca, che ti fanno smettere di mangiare, per un po’.
E’ come il segnale stradale che ti avvisa: “Stiamo lavorando
per voi - rallentate, sono in corso lavori di riparazione”. Anche questo è un
tentativo della forza vitale dentro di te di ristabilire l’equilibrio,
l’armonia.
Quando l’armonia è ristabilita, non vuol dire che non
vi saranno più stravolgimenti, dolori e altri sintomi. Vi sono diversi culti o
correnti secondo i quali, meditando,
tutti i tuoi mal di testa scompariranno e non soffrirai più di indigestione.
Questo è impossibile – e davvero – a quale scopo dovrebbe essere così?
9 giugno
Probabilmente, quello che è conosciuto come prānāyāma
ha lo scopo, non tanto di purificare i polmoni e aiutare a purificare il sangue
ma a rendere stabili quelle che gli yogi chiamano nadi. Queste sono molto
difficili da dimostrare; alcuni hanno tradotto nadi come nervi, altri le hanno
chiamate arterie e vene ma, se guardiamo la radice, nadi significa qualcosa
come un fiume, qualcosa che scorre. E’ come un raggio di luce, che continua a
scorrere, cosa che non si può applicare ai nervi. Le nadi si possono vagamente
paragonare alle onde radio captate da un ricevitore. Qualcosa del genere accade
dentro di noi e quelle sono le nadi o canali energetici.
Le tecniche di prānāyāma hanno come scopo quello di
purificare le nadi. Quando praticate le posizioni yoga, in realtà venite
risvegliati spiritualmente; che anche il vostro corpo ne tragga beneficio è un
effetto collaterale, solo una piccola parte dell’effetto, non quello fondamentale. Allo
stesso modo, quando praticate gli esercizi di prānāyāma, le nadi sono
purificate e la mente e il sistema nervoso vengono calmati, ma anche questi
ultimi sono solo una parte irrisoria del beneficio.
Le tecniche di prānāyāma hanno un significato molto
elevato a livello spirituale. Il frutto del prānāyāma è così descritto da
Patanjali, l'autore degli "Yoga Sutra":
“Con la pratica del prānāyāma, il velo che copre la
luce interiore è rimosso.”
10 giugno
Se volete considerare il prānāyāma come semplici
esercizi di respirazione e niente più, troverete comunque che le condizioni dei
vostri polmoni miglioreranno. Vi sono stati grandi maestri spirituali in India
che hanno criticato in tutti i modi, se non esattamente condannato le posture dello
yoga – ridendo di esse come uno stupido passatempo – eppure anche loro
approvarono e praticarono il prānāyāma. Con questo possiamo concludere che il prānāyāma ha un valore spirituale che va oltre quello fisiologico e
psicologico; la mente è abilitata, con la pratica del prānāyāma, a dirigersi
verso la pratica della concentrazione e della meditazione.
La concentrazione è la messa a fuoco dell’attenzione
in maniera tale che la mente non vaghi in tutte le direzioni ma rimanga, in un
certo senso legata, all'oggetto dell’attenzione.
Possiamo usare un mantra per mettere a fuoco
l’attenzione: dico a me stesso che tutto quello che voglio fare è ripetere il
mantra. Do un ordine alla mente: “Mantieniti sul mantra”. Per quelli di voi che
frequentano lezioni di meditazione sarebbe interessante osservare per quanti
pochi secondi l’attenzione può rimanere focalizzata senza vagare altrove. Dopo
venti o trenta secondi, l’attenzione si è persa – nessuno sa come. Perciò, uno
cerca di limitarla ad un punto specifico di
messa a fuoco: quella è la concentrazione.
11 giugno
Quando l’attenzione diventa assorbimento, è chiamata meditazione; per esempio, quando io continuo a guardare te, è concentrazione,
quando sono completamente assorto nel guardare te, è meditazione. Quando poi
entro ancora più in profondità e questi tre (io-guardare-te) diventano uno, in
modo che tu soltanto sei la realtà e “io” è inesistente, quello è
samadhi.
Ancora una volta, queste sono tutte parole – che spero
non significhino molto per voi. Quando questi tre: concentrazione, meditazione
e samadhi sono praticati simultaneamente, c’è un’intensa consapevolezza
interiore, chiarezza o illuminazione.
Possiamo rispondere ad un’altra domanda che viene
spesso chiesta:
“Lo yoga, soprattutto la meditazione, è come l’ipnosi?”
Lo yogi
risponde, “No”. Nell'infinito oceano dell’unica esistenza cosmica l’onda si è già
ipnotizzata nella convinzione di un’esistenza separata. Tu, in realtà, sei l’essere
cosmico ma ti sei ipnotizzato in una personalità limitata a se stessa: perciò, lo yoga della meditazione non è autoipnosi ma auto-de-ipnotizzazione.
C’è però un pericolo, quando viene promessa qualsiasi
ricompensa nella pratica seria della meditazione, in quanto potremmo essere
intrappolati nella caccia al risultato. Questo avviene a causa di una
insincerità di base; se non c’è la sincerità alla base della ricerca, allora la
propria vita sul sentiero dello yoga è piena di difficoltà, che si presentano
giorno per giorno.
12 giugno
Domanda:
"Quando uno cade e si sloga una caviglia, pensare a Dio
guarirà la caviglia?"
Se provo a pensare che il problema non esista, può
funzionare per un breve lasso di tempo ma, appena esco dalla mia
autosuggestione o autoipnosi, mi farà male ancora di più. Il dolore alla
caviglia mi dice soltanto che l’ho slogata e che dovrei distendermi e lasciarla
riposare, in modo che il lavoro di riparazione possa essere effettuato; non è
per niente un fattore indesiderabile ma è il corpo che sta comunicando con
te. Se c’è dolore da qualche parte, concedi un po’ di riposo a quella parte; se
lo stomaco ti fa male, sta chiedendo, “Ti prego, fa a meno del cibo per un po’:
tutto si rimette a posto se ho un po’ di riposo”.
Il malessere è una cosa diversa, vuol dire che c’è
tensione dentro. Cos’è la tensione? Quando prendi un elastico, noti che c’è
tensione quando le due estremità vengono tirate in direzioni opposte. Questo
può accadere anche a me quando mi siedo qui a “praticare la meditazione”. Mi
elevo fino ai reami trascendentali – bello – ma in realtà tutto il mio cuore è
radicato nelle cose terrene, nei piaceri dei sensi. E’ ovvio che c’è tensione –
il corpo mi tira verso il basso e la testa verso l’alto; c’è una lacerazione in
questo processo.
Questo,
che può essere chiamato malessere o malattia, non è veramente una patologia
fisica, anche se il corpo può manifestare le condizioni malate interiori di una
mente logorata dalla confusione e dal dubbio.
13 giugno
Uno deve arrivare ad un punto che non ce la fa più, un
punto di svolta dove capisce e si rende conto che basta con tutto il pesce che
ha mangiato, basta con tutti i polli ingoiati. Lasciali liberi di nuotare nel
mare o di correre nei cortili. Abbastanza bevande alcoliche sono state ingerite
e fin troppe sigarette fumate. Gli stessi atti sono stati ripetuti a non finire
– ormai sono diventati noiosi. Dimentichiamoli e proviamo qualcos’altro: ecco
lo yoga, ecco la meditazione. Anche se queste pratiche non ti portassero da nessun’altra parte,
almeno non causeranno la distruzione di tanti esseri viventi e l’intossicazione del
corpo.
Vogliamo i piaceri – che sia la cioccolata, il cibo o
i piaceri sessuali: tutto questo va bene. Ad un certo punto però, fermati e osserva:
"Come mai questo piacere mi
costringe ad una continua ripetizione? Chi comanda qui?"
E’ il piacere che comanda - è il piacere stesso che chiede soddisfazione – a nostre spese.
Gli appetiti sono naturali, non sono bramosie; dobbiamo nutrirci, per vivere: la privazione
continua di cibo porterebbe alla morte ma, la bramosia è una perversione, rende
tutta la mente irrequieta e, qualsiasi cosa mi renda irrequieto è dannosa.